Ci vorrebbe una faccia, una voce, una bandiera, magari un inno e soprattutto un'analisi chiara, una politica. Dopo un attacco come quello di Parigi, dovremmo tutti quanti appartenere a un'Europa, che dopo questa ferita paragonabile all'11 di settembre, guarda in faccia il nemico, lo chiama per nome, gliela fa pagare. Ci vorrebbe Churchill che promette sangue sudore e lacrime, ci vorrebbe persino Bush con la faccia stravolta e perplessa del dopo Twin Towers che dice: siamo americani, li batteremo. Ma noi non sappiamo chi battere, non siamo un tutt'uno, semmai lo siamo solo nella cautela di dire qualcosa che ci metta in contrasto col vicino. La Germania contro la Francia, la Francia contro l'Inghilterra...
Che cosa mai siamo dopo il mega assassinio di Charlie Ebdo ? Un'entità ectoplasmatica sepolta in un mare di carte, un esercito, sì, ma di diplomatici e politici persi nei corridoi di Bruxelles passando da una riunione all'altra; siamo l'Europa che si torce le mani per la rabbia e l'imbarazzo, ma non riesce a piangere perché non sa decidere chi le è figlio e chi le è fratello. Una redazione intera è stata giustiziata da una banda di terroristi islamici il cui unico credo è la morte. Non illudiamoci: per loro uccidere è una ragione sociale, oggi tocca alla libertà di espressione, domani alla libertà di culto. È stato un attacco gigante: la sua precisa e crudele esecuzione dimostra che le forze islamiche di ritorno dalla battaglia in Irak e in Siria sono fra di noi e galvanizzano gli amici qui a casa a uccidere secondo l'attitudine naturale di questo movimento religioso e politico. Ma l'Europa sembra non cogliere il senso di questa battaglia fatale. La scappatoia teorica dell'attentato alla libertà di opinione ha coperto l'identificazione del nemico. Alfano ha annunciato che si svolgerà domenica a Parigi la riunione dei Ministri dell'interno Ue, ma è incredibile che il vertice dei Ministri degli Esteri sia rimasto fissata, com'era, per il 19 gennaio a Bruxelles, con la promessa di fare dell'attentato «uno dei temi principali». L'Europa non ci ha offerto leadership né rifugio, non ha consolato chi ha paura, non ha sostenuto la speranza che finisca l'incubo. Federica Mogherini ha condannato e poi convocato il coordinatore antiterrorismo Gilles de Kerchove.
Ma ci aspettavamo ben altra reazione. Tutti i comunicati avrebbero dovuto essere sostituiti da un'unica presa di posizione. Invece la Merkel ha ribadito che siamo di fronte a un attacco alla libertà di parola, Martin Schulz ha ammonito che «il mutuo rispetto e la libertà non sono negoziabili»; David Cameron ha solidarizzato col popolo francese contro «ogni forma di terrorismo». Almeno, il turco Cavusoglu, ministro degli Esteri, e l'Arabia hanno dato la loro interessata risposta: «L'islam è una religione di pace, e connettere il terrorismo all'islam è totalmente sbagliato».
Ma un leader vero deve dire la verità. Perché mai Hollande, che ha fatto un bel discorso, duro e serio, sull'unità dei francesi, ha infine lasciato che solo Marine Le Pen dicesse «è stato un attacco dell'integralismo islamico»?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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