La situazione è questa. Se l'Isis completasse la presa della Libia, tra non molto potrebbe accadere che dall'aeroporto di Tripoli decollassero, indisturbati, aerei - militari e civili non importa - con destinazione il Cupolone di Roma, come del resto ampiamente annunciato dai capi del terrorismo islamico. Oppure un bel missile potrebbe essere lanciato più o meno a casaccio verso le coste europee. Le difese da scenari del genere sono solo due. La prima è occupare militarmente la Libia (sull'ipotesi ieri Renzi ha frenato), la seconda sta nella difesa. In questo caso, tempi di reazione e capacità di fuoco diventano decisivi, vista la breve distanza che separa l'Italia dalla nuova capitale del terrore. E se negli anni scorsi avessimo tagliato meno le spese militari - magari a scapito di quelle per l'accoglienza indiscriminata - certo oggi saremmo più tranquilli. Anche nel 2014 la sforbiciata maggiore - 500 milioni su 14 miliardi - l'ha subita il ministero della Difesa. Al quale spetta il record mondiale di tagli subiti negli ultimi 10 anni: meno 26 per cento (nello stesso periodo la Germania della Merkel ha fatto segnare + 3,8). Al netto del costo dell'Arma dei carabinieri, oggi destiniamo soltanto l'uno per cento circa del Pil (la media europea e ben sopra il doppio) per proteggere il nostro Paese.
Siamo, dunque, un Paese in disarmo, che ha considerato e considera le sue forze armate un inutile costo. Una deriva figlia del pacifismo demagogico che continua a ritenere i caccia F-35 meno utili delle strade e un colonnello meno di un assistente sociale. Si tratta di un tranello montato dalla sinistra e nel quale, purtroppo, troppo spesso è caduto anche il centrodestra. Un Paese responsabile taglia sì gli sprechi - che sicuramente esistono anche nel mondo militare - ma sulla sua difesa investe senza esitare. Perché la pace è figlia anche della forza che si è in grado di esibire a eventuali nemici, così come la sicurezza è maggiore tanto più è visibile la presenza delle forze dell'ordine.
E se, come è successo domenica, una motovedetta della nostra Marina è costretta alla fuga da scafisti armati di kalashnikov, vuole dire che non siamo ben messi. Dopo anni di sventolio di bandiere arcobaleno, di buonismo e di criminalizzazione delle spese militari e delle aziende del settore (vedi caso Finmeccanica), non facciamo paura a nessuno. Cioè siamo già mezzi morti.
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