Se fino all'invasione dell'Ucraina i problemi venivano dal lato moderato del Pd, ora le spine per Enrico Letta sono tutte sul fianco sinistro.
Il leader ha schierato il partito con fermezza su una linea impeccabilmente filo-atlantica e filo-europea, e ovviamente di pieno sostegno al paese aggredito e massacrato da Putin. Una linea scelta sfidando (sia pur con molta diplomazia) l'equidistanza anti-occidentale della Cgil di Landini o dell'Anpi del cossuttiano Pagliarulo, ma anche la demagogia «pacifista» dell'alleato Giuseppe Conte e dei suoi corifei di Leu.
Nella apparente compattezza del Pd iniziano però ad aprirsi crepe, con il riaffiorare degli antichi e irriducibili umori anti-Usa e anti-Nato che sono patrimonio genetico degli ex Pci. Del resto è un esponente del Pd di provenienza migliorista come Umberto Ranieri a ricordare quanto l'attuale sinistra «pacifista» sull'Ucraina assomigli ai famosi «Partigiani della pace» che davano «torto a Truman e ragione a Stalin», che non a caso li finanziava.
Così spunta la semi-sconosciuta presidente del Pd, Valentina Cuppi ad attaccare il segretario chiedendo «un'assemblea» sulla guerra per modificare la linea, e la senatrice Cirinnà a criticare il Def chiedendo più «spesa sociale» e meno spesa militare. Facendo eco ai distinguo di Conte e a quelli sotterranei della sinistra di Peppe Provenzano e Andrea Orlando. A preoccupare il Nazareno arrivano anche alcuni sondaggi che mettono in discussione il trend positivo del Pd, come quello di Ixè che lo dà sempre in testa, tallonato da Fdi, ma in calo di due punti, dal 23,2% al 21,4%, in venti giorni. Letta lo aveva messo in conto, rivendicando con orgoglio la sua posizione: «I voti si perdono e poi si possono riguadagnare. La dignità no, una volta persa non la riprendi più». Ma che la linea del segretario cominci a incontrare resistenze crescenti lo conferma la fronda anti-Letta partita dalla Toscana, dove storici esponenti del partito come Rosy Bindi, Vannino Chiti, gli ex governatori regionali Martini e Rossi hanno lanciato un appello per «cambiare le scelte del governo sull'aumento delle spese militari». Una linea analoga a quella dei grillini di Conte, e che strizza l'occhio all'equidistanza tra Putin e le sue vittime di sinistra, Anpi e Cgil. Con la ex segretaria Pd di Pistoia che si dimette contro «le scelte del segretario e dei gruppi parlamentari» lagnandosi che «chi non è d'accordo è bollato come filoputiniano» e che il sostegno Pd all'invio di armi «non è dettato dallo stato di necessità ma da analisi orientate solo alla vittoria nella guerra».
E che qualcosa nel corpaccione Pd non funzioni nel verso giusto lo conferma un clamoroso episodio di qualche giorno fa, quando a Genova l'organizzazione giovanile del Pd (GD) ha ospitato ad un summit dell'Internazionale dei giovani socialisti un esponente bulgaro apertamente schierato con Putin, al punto da sfoggiare una t-shirt con la famigerata «Z» simbolo dei massacratori russi in Ucraina, e da auspicare la «eliminazione fisica» di Zelensky.
La cosa inquietante è che la sua presenza è stata denunciata in apertura di riunione dai giovani Socialisti italiani («Se partecipa quel fascista non partecipiamo noi»), ma i dirigenti di Gd non hanno ritenuto di far nulla per allontanarlo o prenderne le distanze. E così il propagandista putiniano ha potuto partecipare, intervenire e pubblicare impunemente selfie con il ministro Andrea Orlando e con l'europarlamentare Brando Benifei.
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