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Un agguato che lacerò gli stessi partigiani

L'attentato di Via Rasella, condotto dai Gap il 23 marzo 1944, è un episodio di lotta partigiana che ha prodotto, nel tempo, un numero enorme di polemiche e di discussioni.

Un agguato che lacerò gli stessi partigiani

L'attentato di Via Rasella, condotto dai Gap il 23 marzo 1944, è un episodio di lotta partigiana che ha prodotto, nel tempo, un numero enorme di polemiche e di discussioni. Che sarebbe pretenzioso riassumere tutte in questo spazio. Limitandosi ai dati certi si può dire con chiarezza che andò a colpire un'unità militare di bassa capacità operativa: Il Polizeiregiment «Bozen», un reparto la cui truppa era formata da coscritti altoatesini mentre gli ufficiali e i sottufficiali provenivano dalla Germania. Il terzo battaglione, che era attrezzato con armi di risulta, fu quello colpito dall'attentato e a Roma svolgeva soprattutto compiti di guardia. I rapporti tra i soldati tirolesi, di cui molti di lingua ladina, e gli ufficiali tedeschi erano pessimi. I coscritti per nulla combattivi venivano descritti dagli ufficiali tedeschi «teste di legno tirolesi» (Tiroler Holzköpfe). Non era l'insulto più pesante che ricevevano. Ed erano costretti a marciare cantando, fatto che i partigiani descrissero come una provocazione, contro la loro volontà. A essere colpita fu l'undicesima compagnia, sorpresa con un attacco esplosivo, in una via trafficata, il che non poteva certo garantire che nell'attacco non fossero coinvolti anche dei civili. Infatti a causa dell'esplosione morirono due italiani (tra cui il dodicenne Piero Zuccheretti), mentre altre quattro persone caddero sotto il fuoco di reazione tedesco (dopo lo scoppio della prima bomba gli uomini del Bozen furono bersagliati con altri ordigni artigianali). La metodica dell'attacco provocò forti tensioni anche all'interno del Comitato di liberazione nazionale, che si riunì il 26 marzo. Il delegato della Democrazia Cristiana, Giuseppe Spataro, contestò l'opportunità dell'attacco e chiese un comunicato di dissociazione, proponendo che ogni futura azione fosse prima approvata dalla giunta. Il che provocò la furia dei comunisti rappresentati da Giorgio Amendola che l'attentato volevano con forza rivendicare.

Su questo punto nodale si è poi innestata una lunga discussione storiografica. Per molti autori il rischio di rappresaglia era stato calcolato e forse sinanco voluto. Giusto per fare un esempio l'8 gennaio 1944 il dirigente comunista Luigi Longo invitò i comunisti romani a non tener conto delle rappresaglie. Altri hanno insistito sull'imprevedibilità della risposta tedesca. Di certo uccidere 33 coscritti tedeschi e ferirne 53 non poteva spostare la situazione complessiva, a meno che una feroce reazione tedesca non avesse fatto insorgere i romani...

La reazione feroce ci fu, l'insurrezione no.

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