
Tutti in Egitto, con la speranza nel cuore. La speranza che il sì stiracchiato e pieno di condizioni pronunciato venerdì sera da Hamas sul piano di pace firmato da Donald Trump si trasformi davvero in un cessate il fuoco. Tutti gli sguardi si concentrano ora su Sharm el-Sheikh, dove stanno convergendo i negoziatori che da domani dovranno "discutere i termini e i dettagli dello scambio di tutti gli ostaggi israeliani e dei detenuti palestinesi, in conformità con la proposta del presidente Trump", come fa sapere il ministero degli Esteri del Cairo. In Egitto coi sarà anche l'inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff. Con lui anche Jared Kushner, genero del presidente, che ha avuto un ruolo proattivo nella vicenda. A loro spetterà vigilare per contro di Trump che il "suo" piano non venga stravolto.
In Egitto sono diretti anche gli esponenti di Hamas, che ieri una ricostruzione del Wall Street Journal ha descritto come in preda a una profonda spaccatura. Venerdì la milizia palestinese si è detta disponibile al rilascio degli ostaggi, ma già dopo pochi minuti Moussa Abu Marzouk, alto funzionario di Hamas, aveva precisato di non credere in nessun modo che si potesse procedere al rilascio di tutti gli ostaggi rimasti entro 72 ore, parlando di un'ipotesi "irrealistica nelle circostanze attuali". In realtà molti analisti sottolineano come Hamas abbia usato un linguaggio evasivo, come a tenersi le mani libere per svicolare all'ultimo. I nodi da sciogliere sono il disarmo, le condizioni per il rilascio gli ostaggi e il ruolo dell'organizzazione nel futuro della Striscia. E mentre l'ala politica, rappresentata dal negoziatore Khalil Al-Hayya, ha aperto all'accettazione, il braccio armato del gruppo, che resta nell'enclave palestinese, per bocca di Ezzedin al-Haddad, alla guida di Hamas a Gaza dopo l'uccisione di Yahya Sinwar e Mohammed Sinwar, ha fatto sapere che sarebbe pronto alla consegna di razzi e altri armamenti all'Egitto e all'Onu ma non delle armi più leggere come i fucili d'assalto, che Hamas considera armi difensive.
A lanciare un monito contro possibili esitazioni e passi indietro da parte di Hamas è stato ieri ancora il presidente Trump: "Hamas deve agire rapidamente, altrimenti tutto sarà annullato. Non tollererò ritardi, che molti pensano si verificheranno, né qualsiasi risultato che possa far sì che Gaza rappresenti nuovamente una minaccia. Facciamolo, velocemente. Tutti saranno trattati equamente!", ha scritto su Truth.
Ieri l'inquilino della casa Bianca ha riservato invece un buffetto a Israele, che ha apparentemente accettato la richiesta del tycoon di sospendere i bombardamenti su Gaza. Ieri i leader politici israeliani hanno ordinato all'esercito dapprima di rallentare e quindi di "ridurre al minimo" le operazioni militari, emesso dopo i colloqui notturni tra funzionari israeliani e statunitensi. In serata, dopo lo Shabbat, il premier Benjamin Netanyahu ha convocato i due falchi dell'ultradestra, il ministro per la Sicurezza Itamar Ben-Gvir e quello delle Finanze Bezalel Smotrich per convincerli a non mettersi di traverso. I due sembrano vicini all'uscita del governo. In serata Netanyahu ha anche parlato (in ebraico) ai media israeliani: "Siamo sul punto di raggiungere un grande risultato - ha detto il premier -. Spero di potervi annunciare il rilascio di tutti i nostri ostaggi, in un colpo solo". E poi: "Ho coordinato con il presidente Trump e il suo team una mossa diplomatica che ha ribaltato la situazione in un istante. Invece di Israele isolato, è Hamas ad essere isolata". E Trump confessa in un'intervista esclusiva a Channel 12, Trump di aver detto al premier israeliano: "Bibi, questa è la tua occasione per vincere".
In tutto questo l'Europa percorsa in lungo e in largo da manifestazioni filopalestinesi appare invece senza voce politica, Anche se ieri il ministro italiano degli Esteri, Antonio Tajani, ha parlato di un possibile incontro il prossimo 9 ottobre "per fare il punto della situazione e per cercare di agevolare tutto il processo di pace".
Tajani è apparso moderatamente ottimista: "Non è facile, siamo soltanto all'inizio, però si è accesa la luce della speranza e credo che la risposta positiva di Hamas, per quanto riguarda la liberazione degli ostaggi, agevoli il processo", anche se "adesso bisognerà entrare nei dettagli e vedere cosa si potrà fare e cosa non si potrà fare". L'Europa, alla fine, aspetta.