Aiuti fermi a Gaza. Assedio a Netanyahu e minacce al governo

Stop di 24 ore nella consegna del cibo. Londra: rischio sanzioni. Sfida degli ebrei ultraortodossi

Aiuti fermi a Gaza. Assedio a Netanyahu e minacce al governo
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Benjamin Netanyahu non ferma il fuoco a Gaza, ma finisce sotto il fuoco, anche quello amico, di alleati interni ed esterni. Sono ore di battaglia, militare e politica, per il primo ministro israeliano. Alla guerra nella Striscia si somma la guerra su Gaza di opinione pubblica e cancellerie internazionali, per mettere fine al conflitto e restituire dignità ai due milioni di civili palestinesi, che secondo la Croce Rossa vivono in «un inferno su terra». Come se non bastasse, i partiti ultraortodossi minacciano di far cadere il governo israeliano, dal quale pretendono l'esclusione degli studenti haredim, gli ebrei più tradizionalisti, dalla leva obbligatoria. Le cattive notizie arrivano dunque da più fronti per il primo ministro e sono il segnale di spinte a volte contrapposte.

Dopo le stragi degli affamati di Rafah, la distribuzione degli aiuti umanitari dovrebbe riprendere oggi, all'indomani di un'intera giornata di fermo che ha aumentato la disperazione dei gazawi. La Gaza Humanitarian Foundation, incaricata da Israele della consegna dei pacchi umanitari in 4 punti della Striscia, ha spiegato la decisione parlando di «attività logistiche necessarie per accogliere un maggior numero di persone», ma anche per dare alle Forze Armate israeliane (Idf) «il tempo di preparare percorsi di accesso più sicuri ai siti». In realtà, si tenta di correre ai ripari dopo l'indignazione che hanno suscitato nel mondo le immagini dei civili all'assalto del cibo e le notizie dei circa 100 morti in coda per un pacco di farina, vittime considerate dall'Onu «frutto di scelte deliberate di Israele».

Contro la «spaventosa» azione a Gaza, contro l'escalation militare e il blocco degli aiuti, il governo britannico ha annunciato di valutare «in accordo con gli alleati» nuove azioni contro Israele, incluse sanzioni, dopo aver già sospeso nei giorni scorsi i colloqui sull'accordo di libero scambio e aver sanzionato i coloni estremisti.

Anche in patria, non si ferma la pressione sul primo ministro, su più fronti. Una marcia di tre giorni, è partita da Tel Aviv, diretta verso il confine con Gaza, per dire no alla guerra, che ieri contava altri 95 morti e 440 feriti nelle ultime 24 ore e per chiedere il ritorno degli ostaggi. Ma a distogliere l'attenzione del premier, nella prossima settimana, sarà anche la sfida politica della Knesset. L'alleanza Ebraismo della Torah Unito, che include due partiti ultraortodossi oggi nel governo Netanyahu, hanno minacciato di togliere la fiducia e andare a nuove elezioni, dopo che l'esecutivo non è riuscito ad approvare una legge che esenti gli studenti delle yeshiva, le scuole religiose, dal servizio militare. Una questione aperta da tempo, che «Bibi» dovrà sbloccare - come in passato - entro pochi giorni, prima del voto con cui l'11 giugno, qualcuno avverte di voler tentare la spallata. Se alla sfida non si unirà anche il partito Shas (11 seggi) l'alleanza dei due movimenti ultraortodossi - che conta 7 seggi - non ha i numeri per far cadere il governo, oggi forte di 68 deputati su 120. Ma il premier deve darsi da fare e ha già avviato colloqui per evitare il peggio. Un'altra gatta da pelare, dopo che in settimana è partito a Tel Aviv il controinterrogatorio nel processo che lo vede alla sbarra per frode e corruzione.

Al fianco di Israele, si confermano saldi gli Stati Uniti. All'Onu, si è votata l'ennesima risoluzione per un cessate il fuoco a Gaza, ma Washington anche stavolta ha posto il veto, spiegando che «comprometterebbe gli sforzi diplomatici» e «traccia anche una falsa equivalenza tra Israele e Hamas».

Israele, intanto, continua a colpire basi e arsenali in Siria, «contro ogni minaccia al nostro Stato». E annuncia un nuovo un picco storico di esportazioni di armi nel mondo nel 2024. In tutto 14,7 miliardi di dollari, +13% rispetto al 2023.

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