
Vinsero i sentimenti e l'empatia di una figura leggendaria. Ma persero l'Italia e le prospettive riformiste di un Paese bloccato dai dogmi dell'ideologia. Giorgio Napolitano versus Enrico Berlinguer. La ragione contro l'emotività, il progresso contro il carisma. Giuliano Amato modera una sessione di un convegno organizzato al Senato per i cento anni dalla nascita del presidente della Repubblica e utilizza parole durissime per definire la questione. Il duello fra i due, il migliorista e l'ortodosso, che pure aveva strappato con Mosca. Il presidente emerito della Corte costituzionale va a fondo e iscrive il conflitto dentro un potente affresco: "La storia d'Italia sarebbe stata diversa se Napolitano non fosse rimasto in minoranza e se la sua prospettiva fosse stata condivisa da un uomo di grande fascino ma privo di vedute per il futuro".
Un discorso che non fa sconti, Amato è spietato e legge le vicende della sinistra e quindi del Paese come una grande occasione perduta. La spuntò Berlinguer, il segretario che piaceva alle masse, il compagno amato dagli operai, il politico che di fatto morì sul palco, colto da un malore a Padova, e per il cui funerale si mobilitò una folla sterminata. Napolitano restò in minoranza, la sua corrente, quella dei miglioristi, non riuscì a conquistare il potere dentro il partito, anzi ai tempi di Mani pulite fu quella più colpita dalla magistratura e dallo stigma, come contigua al Partito socialista e alle sue malefatte. Napolitano, che pure si era formato nel clima plumbeo dello stalinismo, giocò una partita assai intrigante per svecchiare il Pci e trasformarlo in una possibile alternativa alla Dc, ma i numeri gli diedero torto. Avrebbe potuto portare il Pci su posizioni assai più spendibili per la democrazia, come riuscì a Craxi con il Psi che però rimase il terzo incomodo, nella guerra fra i due colossi del sistema. Craxi che, attraverso la lezione del socialismo liberale, aveva messo il ritratto di Garibaldi al posto di quello di Lenin e sostituito la Rivoluzione d'Ottobre con la spedizione dei Mille. Un discorso che porterebbe lontano. Amato pone la questione con straordinaria lucidità, anche se è facile immaginare che molti non condivideranno il suo pensiero: "Una verità ancora oggi difficile da accettare per molti perché il fascino di Berlinguer ha un che di emotivamente invincibile. Ma - è la conclusione tranchant - ha imbucato la grande forza del Pci verso il vuoto". Insomma, per Amato Berlinguer è una figura sopravvalutata che non ha saputo cogliere la direzione di marcia della storia. Ebbe un feeling straordinario con le folle, portò il Pci ai suoi massimi storici, ma non intuì che la sinistra classica avrebbe dovuto cambiare pelle per sopravvivere.
Di nuovo, la querelle si fa complessa e controversa. Certo, la questione morale e poi quella giudiziaria alzarono l'asticella dell'autostima nel partito che superò quasi indenne anche la tempesta di Tangentopoli. Ma le macerie del Muro caddero in testa ai dirigenti di Botteghe Oscure, impreparati ad affrontare la nuova stagione.
E in ritardo sui tempi. Avevano vinto, ma si erano condannati da soli. È un paradosso, per certi aspetti uno dei grandi drammi del nostro Novecento. Berlinguer, secondo Amato, ebbe la grande chance ma la lasciò svanire fra le mani.