Al secondo round, la Commissione europea è finita ancora al tappeto. Quando c'è di mezzo il fisco, per Bruxelles è come affrontare Tyson con le mani legate dietro alla schiena. Nel match contro Amazon, vince di nuovo la creatura di Jeff Bezos, che esce dall'incontro con un verdetto su cui c'è poco da discutere. «La Commissione europea non ha provato, in base agli standard legali richiesti, che ci sia stata un'indebita riduzione dell'onere fiscale di una filiale europea del gruppo Amazon», ha sentenziato ieri in appello la Corte di giustizia Ue. Insomma, a differenza di quanto sostenuto dalla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, il colosso Usa dell'e-commerce non ha ricevuto dal Lussemburgo, dove è ubicata la sua sede europea, nessun trattamento fiscale privilegiato, tale da evitare l'esborso di tasse pari a 250 milioni di euro.
Per molti esperti della materia, il Granducato è da anni il posto in cui alle multinazionali viene riservato un menu fiscale à la carte, in modo da rendere un piumino il peso della tassazione. Jean-Claude Juncker, l'implacabile cane da guardia dei vincoli di bilancio (altrui) quando presiedeva la Commissione europea, è stato anche l'uomo che da premier lussemburghese ha incoraggiato e favorito tali pratiche. Eppure, nonostante la querelle legale si trascini dal 2017, e abbracci un periodo che va dal 2006 al 2014, Bruxelles non è riuscita a presentare uno straccio di prova in grado di dimostrare l'avvenuta elusione fiscale attraverso cui ad Amazon sarebbe stato concesso di pagare tasse quattro volte inferiori rispetto ad altre società locali soggette alle stesse norme fiscali nazionali. Così, il gigante a stelle e strisce può cantare vittoria: «Accogliamo con favore la decisione della Corte, che è in linea con la nostra posizione di lunga data», ha detto un portavoce dell'azienda. Bruxelles incassa il colpo, ma pare non voler ancora alzare bandiera bianca: «Studieremo attentamente il giudizio - ha commentato la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager - e rifletteremo sui possibili passi successivi».
Lo step terminale è la Corte di giustizia, l'ultima cartuccia da sparare prima di arrendersi definitivamente. Ma per Bruxelles potrebbe trattarsi di una mossa disperata, e con poche chance di successo. I precedenti non depongono infatti a suo favore. È di neanche un anno fa, era il luglio 2020, la sentenza con cui è stato stabilito che Apple non ha ricevuto dall'Irlanda benefici fiscali pari a 13 miliardi. Un'altra porta sbattuta in faccia.
Ora la storia si ripete, e la sconfitta appare forse ancora più bruciante per l'Ue dopo che sul bilancio 2020 Amazon non ha pagato un solo centesimo di tasse in Europa. Nonostante ricavi in ascesa a 44 miliardi grazie al Covid, il bilancio si è chiuso in rosso (-1,2 miliardi) consentendo al gruppo dell'uomo più ricco del pianeta di accumulare un tesoretto, sotto forma di crediti d'imposta, pari a 56 milioni.
Un «serbatoio fiscale», arrivato ora a quota 2,7 miliardi, cui il gruppo potrà attingere qualora i conti tornassero in utile. Vista la malaparata nelle aule dei tribunali del Continente, a questo punto a Bruxelles non resta che fare il tifo per la proposta di una minimum tax globale del 21% avanzata dal presidente americano, Joe Biden.
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