Anche la mafia sbaglia Fallisce attentato al presidente del Parco

Salvo grazie alla scorta di polizia e all'auto blindata I sicari sono entrati in azione su una strada provinciale

Valentina Raffa

Agguato in perfetto stile mafioso all'auto blindata in cui viaggiava Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi. Sembrava una notte come tante altre. Erano da poco passate le 2 del mattino ieri quando il buio, il silenzio, il procedere ritmico dell'automobile su per i tornanti della strada di montagna che collega San Fratello a Cesarò, nel Messinese, e la stanchezza di una serata trascorsa proprio a Cesarò, dove Antoci aveva preso parte a una manifestazione, erano complici del suo stato di dormiveglia.

Poi un rumore. L'auto che deve rallentare per dei massi caduti sulla carreggiata. Ed ecco una raffica di colpi crivellare la vettura, una lancia Thema blindata. La scorta che da anni è stata assegnata ad Antoci per la sua battaglia contro la mafia dei pascoli, la mafia che fa affari d'oro puntando alle risorse della Comunità europea attraverso fittizi escamotage, e che punta a un vorticoso giro di denaro anche con abigeati e macellazioni clandestine, ha risposto al fuoco. La resistenza dell'auto ha protetto bersaglio e agenti. Provvidenziale è stato il sopraggiungere di una seconda macchina della polizia, con a bordo il dirigente del commissariato di Sant'Agata di Militello, Daniele Manganaro, e un altro poliziotto. Dopo lo scontro a fuoco il commando si è dileguato. Nessuno dei «buoni» è rimasto ferito. Antoci e l'agente di scorta sono stati condotti per precauzione in ospedale. Stanno bene, ma la paura è stata tanta come le pallottole stavolta sparate non per avvertimento.

La mafia ha colpito, ma se n'è andata leccandosi le ferite. Sia perché uno dei sicari (4-6 persone) sarebbe rimasto ferito, sia perché l'agguato a fucilate non ha fatto retrocedere Antoci di un passo. «Proseguirò nella mia battaglia ha ripetuto ancora ieri -. Abbiamo toccato un nervo scoperto. So chi mi vuole morto».

Sull'agguato indaga la polizia mentre la Dda della procura di Messina ha aperto un'inchiesta ed è stata rafforzata la scorta al presidente coraggioso voluto dal governatore Crocetta. Il prefetto di Messina ha convocato il Comitato per l'ordine e la sicurezza e sarà organizzata una manifestazione di solidarietà.

Dagli avvertimenti la mafia è passata ai fatti. Tempo fa Antoci aveva ricevuto una busta con dei proiettili, nel dicembre 2014 una lettera spedita da Catania con su scritto «Finirai scannato tu e Crocetta». E anche quest'ultimo, presidente della Regione siciliana, ha voluto attestare la sua solidarietà, proponendo di fare intervenire l'esercito per rastrellare i Nebrodi e sconfiggere la mafia, gli accordi, i sotterfugi di chi, avvezzo a gestire il potere, vuole riconquistare «i terreni perduti» sui Nebrodi per proseguire i suoi sporchi affari. La presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi parla di un «coraggioso impegno contro le infiltrazioni mafiose nel parco dei Nebrodi, che va sostenuto con una più incisiva azione repressiva e assicurando un rigoroso controllo di legalità sui finanziamenti e i fondi europei per l'agricoltura, in un territorio complesso come quello dello Stretto, in cui gravitano clan di Cosa Nostra e della Ndrangheta».

Ma forse non basta.

Lo sapeva il giudice Paolo Borsellino quando, parlando della lotta alla mafia, ricordò come non dovesse essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, «le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». Oggi più che mai, quindi, parafrasando Gesualdo Bufalino, serve un esercito di maestre elementari.

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