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Anche gli operai spaccano la sinistra

Schlein alla Marelli di Crevalcore, ma la Fiom minaccia Calenda: "Non è gradito". E il Pd tace

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La fabbrica chiude, gli operai vengono lasciati per strada, ma il sindacato - invece di attaccare i «padroni» cattivi - aggredisce un pezzo di centrosinistra.

Il caso Marelli fa esplodere le contraddizioni interne all'opposizione. Elly Schlein, con l'intenzione di imitare il blitz del presidente Usa Joe Biden in Michigan, va davanti allo stabilimento di Crevalcore (la cui chiusura lascerebbe a casa trecento operai) ad abbracciare i lavoratori che picchettano i cancelli. Ma la Fiom-Cgil ha un'altra mission: tenere lontano Carlo Calenda (foto), con un comunicato dai toni palesemente minacciosi: «Non si azzardi a presentarsi qui, lui non è gradito». La replica di Calenda è dura: «Intimidazioni degne dei fascisti, ma con me le minacce non funzionano: io andrò a Crevalcore a portare la mia solidarietà ai lavoratori e spiegare cosa intendiamo fare per difenderli». E se i seguaci di Landini organizzeranno contestazioni, il leader di Azione si dice pronto a discutere, ma non «ad accettare diktat squadristi» dai vertici sindacali. Che hanno addirittura minacciato di far attuare un blocco stradale per impedirgli il passaggio: «Facciano pure, io vado in moto e li frego», dice lui.

L'origine dello scontro sta nel fatto che il leader di Azione ha osato criticare l'Intoccabile, ossia Maurizio Landini, e la sua inazione su una crisi ampiamente prevista. Inazione che, secondo Calenda, avrebbe una ragione precisa nelle ambizioni politiche del capo sindacale, e nell'aggrovigliato conflitto di interessi tra gli ex proprietari di Marelli, ossia gli Elkann, e il loro ruolo di editori di testate schierate a sinistra come Repubblica e Stampa. «Landini vuole fare politica in prima persona, e per farlo ha bisogno del supporto della stampa di area, Repubblica in testa», spiega. Mentre gli eredi del gruppo Fiat hanno da tempo «scientificamente deciso di uscire dal settore automotive», «desertificando» un segmento fondamentale dell'industria italiana, «nella indifferenza generale». E ci sono riusciti grazie all'insipienza di governi come il Conte 1, che «non ha mosso un dito» per «bloccare la vendita» di Marelli ai giapponesi che ora la chiudono, rinunciando ad utilizzare la Golden share statale (e non a caso ieri non c'era una sola dichiarazione M5s sul caso), ma anche grazie alla compiacenza sindacale: «Ricordate le furiose battaglie del capo Cgil contro Marchionne? Avete mai visto nulla di simile da parte sua contro gli Elkann? Ecco...».

Landini va su tutte le furie: «Affermazioni gravissime e offensive», fa scrivere in una nota dei segretari locali della Cgil. Calenda sarebbe «accecato dall'odio contro Landini, e non sa nulla di quanto il sindacato ha fatto in questi anni per difendere la fabbrica, gli impianti e i posti di lavoro quando le case tremavano per il terribile terremoto del 2012: quel giorno Landini era ai cancelli della Marelli». Il che sarà anche vero, peccato che Calenda parli di scelte che sono maturate successivamente. E che sia piuttosto strano che un sindacato tenti di impedire a un leader politico, per di più appartenente al centrosinistra, di difendere un luogo di lavoro minacciato di chiusura. Ma ancor più strano è che dal resto del centrosinistra, Pd in testa, nessuno osi dire una parola per difendere un leader del proprio schieramento dall'ostracismo tutto politico decretato da Landini. «Una pagina nera per la sinistra e il sindacato», dice il capogruppo di Azione Matteo Richetti.

«Ma chi non ha coraggio non se lo può fare», chiosa manzonianamente Calenda.

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