Se n'è accorta anche Repubblica che questo governo Conte proprio non funziona. E «più che a Roma siamo sospesi tra Babele e Bisanzio». Ben detto. Ma anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala, dopo settimane di attacchi violenti, s'è accodato al governatore Attilio Fontana offrendogli la sua disponibilità «a collaborare, a partire da subito, per costruire insieme le condizioni necessarie alla gestione della crisi e all'uscita dall'emergenza». Come a dire: riapriamo insieme che qui la gente ne ha abbastanza. E mollando il Pd che esige commissari e commissioni d'inchiesta.
Perché c'è forse qualcuno (dotato di minimo buonsenso) che possa oggi pensare di proseguire oltre il 3 maggio con il blocco totale del Paese? Nessuno, a meno di non scoprire che questo virus coronato è talmente letale da essere in grado di portarci a estinzione. E allora non ci sarebbe proprio niente da fare. Non fosse così, scienziati e virologi ci ripetono che dovremo imparare a conviverci, perché l'alternativa è estinguerci per fame, anziché per le polmoniti virali.
È per questo che erano apparse addirittura banali le parole con cui Fontana aveva annunciato il suo Piano per la «nuova normalità». Nulla di rivoluzionario, semplicemente che nell'ovvio rispetto della salute, dopo due mesi di stop le attività produttive dovranno rimettersi in moto. E, invece, apriti cielo. Da Roma si è di nuovo abbattuta l'ira di Francesco Boccia, quello che dovrebbe essere il ministro degli Affari regionali e delle Autonomie e invece fa il cane da guardia del governo contro chiunque si azzardi anche solo a fiatare.
E così tutti ad accusare la Lombardia di una «fuga in avanti», ancor più condannabile perché metterebbe a rischio la salute della comunità. E magari in nome del profitto, come si legge tra le righe grondanti astio delle anime belle. Intrise di pauperismo e prone ai luoghi comuni con cui si crocifigge una regione che ha il maggior numero di impiegati nel terzo settore, distribuisce una buona fetta delle sue tasse al resto d'Italia e porta sulle spalle gran parte del Pil.
Ecco spiegata la fretta: per continuare a sgobbare (per sé e per gli altri) bisogna riaprire. E per farlo, dopo aver tanto aspettato, non si può contare sul governo. Come dice benissimo su Repubblica anche Massimo Giannini. Perché, scrive, «programmare fin da ora un percorso che, sia pure senza una data certa a oggi impossibile, indichi comunque le tappe di una graduale ripresa delle attività economiche non è solo opportuno, ma è doveroso. E il governo finora non è stato in grado di farlo. Più che a Roma siamo sospesi tra Babele e Bisanzio». Il governo non è in grado di farlo. Ineccepibile, da sottoscrivere parola per parola. E la spiegazione sta nei «Trecento cervelloni - come titolava il Giornale - e nessuno che decide». Una Babele di 21 ministri, 42 sottosegretari, 2mila del Consiglio superiore della sanità, la Protezione civile che ha nominato anche un bel Comitato tecnico scientifico con una decina di espertoni, il commissario straordinario Domenico Arcuri scelto dal premier Conte con una squadra di 39 consulenti, il super manager Vittorio Colao a capo di una task force di 17 altrettanto super esperti finiti immediatamente in collisione con la commissione del ministro dell'Innovazione Paola Pisano. Poi venti governatori con voce in capitolo, sindaci ingombranti come Sala o Gori, i ministri Boccia, quello della Salute Roberto Speranza e dell'Economia Roberto Gualtieri.
Una Babele? Forse di più, se si pensa che in tutto questo manca un esperto di turismo, il vero petrolio dell'Italia e qualcuno che decida se
dovremo usare l'app del ministro Pisano, quella del commissario Colao o quella dei governatori Fontana e Zaia. Andranno tutte buttate e ne useremo un'altra. Dettagli? Ma è proprio nei dettagli che dimora il demonio. E il virus.
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