Arma a doppio taglio. Tutte le volte che errori e abusi hanno trasformato innocenti in mostri

Dallo "sbancato" di Pacini Battaglia all'incredibile caso Massaro: 21 anni di carcere per un omicidio mai commesso: fu una "svista". Le trascrizioni finiscono sempre sui giornali e l'immagine (anche di estranei) va in frantumi

Arma a doppio taglio. Tutte le volte che errori e abusi hanno trasformato innocenti in mostri

Che il tema sia scivoloso, lo sappiamo da quasi trent'anni. Il 10 ottobre 1996 escono alcune intercettazioni di Francesco Pacini Battaglia, il banchiere «un gradino sotto Dio» secondo il Pool, arrestato nel 93 e poi di nuovo nei guai nel 96. Pacini Battaglia, parlando con l'avvocato Marcello Petrelli, afferma: «A me Di Pietro e Lucibello», ovvero l'avvocato Giuseppe Lucibello, «mi hanno sbancato». Anzi, no la frase, assai sdrucciolevole, viene reinterpretata così: «A me Di Pietro e Lucibello mi hanno sbiancato». Quello sbancato - sbiancato diventa un tormentone e viene tirato di qua e di là come la coperta, aprendo scenari completamente diversi: Di Pietro sbiancatore è il magistrato impavido che mette in riga i corrotti, va da sé che sbancare rimanda invece a intrallazzi e, chissà, pagamenti obliqui. Più di una volta le intercettazioni, appese nel vuoto e prive di riscontri, trasformano personaggi qualunque in icone del male.

Un problema drammatico che non riguarda solo i vip, come molti pensano forse per un pregiudizio, ma soprattutto la gente comune travolta da parole infide, anche perché le registrazioni dei colloqui spesso sono accompagnate da rumori e voci che rendono ardua e a tratti incomprensibile la trascrizione.

C'è un caso, quello di Angelo Massaro, che purtroppo è da record nella galleria degli orrori italiani. L'uomo, un lavoro nell'edilizia pubblica in Puglia, si fa ventun anni di carcere, dal 15 maggio 96 al 23 febbraio 2017, per una consonante scappata via agli investigatori. Sì, non è un'esagerazione ma il risultato di due intercettazioni sciagurate e valorizzate in modo sconsiderato dai giudici.

Sono le 8.33 del mattino, 17 ottobre 1995. Angelo chiama la moglie a casa, in ansia perché il piccolo Antonio deve andare all'asilo. Ma il padre è in difficoltà, pensa di non farcela ad arrivare in tempo, è troppo impegnato. Il motivo: «Soltanto che io sto ancora a San Marzano che devo andare a prendere il morto e che sto sopra la strada...». Che sta facendo in quel momento Massaro? Pochi minuti dopo dalle campagne di San Marzano parte la seconda telefonata: «Prendi e accompagnalo perché prima di mezz'ora non ci arriviamo, che finché lo agganciamo di dietro qua». La procura di Taranto su quei mozziconi di discorsi, infilati in mezzo a problemi di ciucci e pannolini, costruisce un teorema agghiacciante: Massaro quella mattina stava trasportando un morto, anzi il morto, il cadavere di una persona scomparsa qualche giorno prima nella zona, Lorenzo Fersurella che lui conosceva bene. Gli indizi sono a dir poco vaghi perché non ci sono testimoni del delitto, anzi non c'è neppure il corpo dello sventurato giovane, ma si ipotizza che per qualche cervellotica ragione Massaro prima lo abbia eliminato e poi a distanza di una settimana lo abbia spostato per farlo sparire, organizzando un incredibile e macabro corteo funebre.

Gli mettono le manette e lì per lì lui non capisce nemmeno cosa gli stiano contestando. Poi però mette a fuoco e si difende: la arrola chiave, in dialetto, era muers non muert, non morto ma un oggetto pesante, «muers de coso qua», la pala meccanica che stava trasportando e di cui verrà prodotta pure una foto in aula. La s vale la libertà, la t una condanna pesantissima.

Vince la t senza una prova che sia una prova, poi a distanza di vent'anni i giudici della revisione, bombardati dalle istanze dei difensori, finalmente si accorgono dell'errore e cancellano quella sentenza senza fondamenta. Ma il disastro ormai si è compiuto.

Purtroppo, ce n'è per tutti i gusti: il 1 aprile 2016 la ministra dello sviluppo economico Federica Guidi si dimette, affondata dalle cimici dell'inchiesta di Potenza su Tempa rossa e il business del petrolio. La Guidi sembra promettere un intervento al compagno, Gianluca Gemelli, con interessi in quel campo: «Domani passa l'emendamento». Per il governo Renzi è un brutto colpo. C'è, o almeno così sembra, un conflitto di interessi fra il Paese e la famiglia, anche se lei, furente, se la prende con il fidanzato trovando parole che restano nella memoria: «Mollami, tu mi tratti come una sguattera del Guatemala». Gemelli viene indagato, lei no a dispetto di tutto quel clamore. Poi, a distanza di anni, la sorpresa: la procura di Roma chiede l'archiviazione anche per lui. Ma ormai l'addio all'esecutivo è storia, così come l'aver messo in piazza la lite dentro la coppia.

È andata così tante volte: l'immagine va in pezzi, esattamente come l' inchiesta che ha messo in moto la macchina delle registrazioni.

Ecco Vittorio Emanuele scolpire immagini non proprio all'altezza di casa Savoia: «I sardi puzzano e si fanno le pecore». La corona chissà dove è rotolata. Proprio come le accuse con spettacolare arresto, mezzo codice penale peggio di un delinquente abituale, tutte gloriosamente finite nel nulla.

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