Armi alla Colombia. Magistratura in campo. D'Alema ora trema

La Procura di Napoli indaga sull'operazione che doveva fruttare all'ex premier 80 milioni

Armi alla Colombia. Magistratura in campo. D'Alema ora trema

Il granello di sabbia che fa saltare il meccanismo, nell'intrigo internazionale che ha al centro Massimo D'Alema e i suoi affari in Colombia per conto di Leonardo e Fincantieri, potrebbe essere alla fine un dettaglio quasi irrilevante: un passaggio in cui uno dei compari di avventura e affari dell'ex segretario dei Ds si accreditava facendo il nome dell'Associazione parlamentare del Mediterraneo, un benemerito organismo internazionale che di tutto si occupa tranne che di traffici d'armi. Vistasi tirata in causa, il 6 marzo Apm aveva presentato denuncia per una sfilza di reati alla Procura di Napoli, la città dove ha la sua sede. Ieri il Corriere della sera rivela che la magistratura del capoluogo campano ha aperto ufficialmente una inchiesta. Truffa, sostituzione di persona, falso: reati, come si vede, un po' collaterali rispetto al cuore del business. Ma il fascicolo rischia di diventare il contenitore dove i pm potranno scavare in profondità su tutti gli aspetti della operazione che doveva portare alla squadra di D'Alema una mega-cresta da ottanta milioni.

Finora la sconcertante vicenda, venuta alla luce solo per il brusco stop imposto dal sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, era riuscita a evitare i radar della magistratura grazie a due dettagli. Il primo: Leonardo è di fatto un colosso di Stato ma è tecnicamente un'azienda privata, i suoi manager non sono pubblici ufficiali e quindi non possono essere incriminati per traffico di influenze. Il secondo: nei numerosi documenti venuti alla luce finora, non c'è traccia di tangenti promesse a esponenti del governo o delle forze armate colombiane, che avrebbero giustificato una indagine per corruzione internazionale. Così lo scandalo di un ex presidente del Consiglio che si trasforma in piazzista di armi per conto di una azienda pubblica era rimasto finora in una sorta di limbo giudiziario.

Ora invece le acque si smuovono, e chissà fin dove arriveranno. Chiari i reati su cui indaga per ora la Procura di Napoli, nessuna conferma ufficiale su eventuali iscrizioni nel registro degli indagati: anche se nella denuncia di Apm almeno un nome si fa ed è quello di Emanuele Caruso, ex consigliere Pd in un paesino pugliese, ovvero uno dei due faccendieri che coinvolge D'Alema nella sfortunata missione colombiana. È lui a fabbricare i falsi documenti di Apm che usa per accreditarsi. Se Caruso finisse nel mirino della Procura di Napoli, difficilmente potrebbe cavarsela senza raccontare la genesi della trattativa con il governo di Bogotà. E soprattutto quali mandati avesse ricevuto D'Alema dall'interno di Leonardo.

Che qualcuno dall'interno della ex Finmeccanica abbia affidato l'incarico a «Baffino» e alla sua squadra è, peraltro, ormai pacifico.

La versione di Leonardo, secondo la quale allo studio a Miami dell'avvocato Robert Allen (braccio operativo di D'Alema in questo e altri affari) sarebbe stato inviato solo un «no disclosure agreement», un patto esplorativo riservato, non seguito da intese operative, è stata smentita l'altra sera da Quarta Repubblica, la trasmissione di Nicola Porro che ha squadernato la fotocopia di un sales promotion support and agreement, un pieno mandato di mediazione inviato dalla divisione aerea di Leonardo a Umberto Bonavita, presidente dello studio Robert Allen. La prova provata che Leonardo mentiva.

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