Guerra in Ucraina

Armi a Kiev, la sinistra perde perfino il suo referendum

Un bel buco nell'acqua, quello dei cosiddetti pacifisti. Ha fallito il suo obiettivo, infatti, lo strano fronte referendario composto da un mix di estrema sinistra, grillini, leader no vax e sovranisti

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Un bel buco nell'acqua, quello dei cosiddetti pacifisti. Ha fallito il suo obiettivo, infatti, lo strano fronte referendario composto da un mix di estrema sinistra, grillini, leader no vax e sovranisti. Il movimentismo dei mesi scorsi non è bastato. Non è stata infatti raggiunta la soglia delle 500mila firme necessaria per chiedere di celebrare un referendum contro l'invio di armi all'Ucraina, Paese che da un anno e mezzo è impegnato nel resistere all'aggressione dell'esercito russo, con l'aiuto della Nato, dell'Ue e dei Paesi occidentali (fra cui l'Italia).

«Il grande lavoro fatto da splendidi militanti, in meno di 90 giorni e nonostante la totale censura, ha prodotto 370 mila firme - ha annunciato il comitato - Non è stato raggiunto il limite delle 500mila sottoscrizioni e quindi non ci recheremo in Corte di Cassazione». «Continueremo chiaramente la lotta contro la guerra».

L'iniziativa era stata avviata in primavera, sull'onda delle manifestazioni convocate in autunno e poi a febbraio «per la pace» cioè per la resa di Kiev all'invasione voluta da Putin. Il comitato referendario era nato a marzo dalla fusione di due soggetti di partenza: l'associazione «Generazioni future» del professor Ugo Mattei - passato dalle campagne contro la privatizzazione dei servizi idrici alla battaglia contro l'obbligo vaccinale durante il Covid - e il comitato «Ripudia la guerra» di Enzo Pennetta. La campagna, iniziata il 22 aprile, ha subito incontrato il sostegno delle solite «personalità» che da anni sono impegnate nella aperta contestazione degli Usa e degli altri Paesi occidentali, individuati in pratica come causa di ogni male: il vignettista Vauro, l'attore Moni Ovadia, e poi il professore Franco Cardini, il giornalista Fulvio Grimaldi e molti altri (almeno in teoria, molti). Si è unito, a parole, anche il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte. «Abbiamo visto - disse ad aprile - che perseguendo questa strategia militare c'è solo un escalation. Noi vogliamo un percorso di dialogo politico, crediamo che sia l'unico che possa offrire un prospettiva di composizione del conflitto.

Altrimenti la strada è un escalation incontrollabile, sempre più vasta», spiegò allora, aggiungendo sul merito del referendum che «noi siamo conseguenti, ovviamente».

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