Cultura e società

Attacco alla cucina italiana

Il "Financial Times" rilancia le tesi di un prof mantovano: "Tradizioni inventate. Panettone industriale, pizza e carbonara sono made in Usa"

Attacco alla cucina italiana

Tradizioni inventate, piatti di importazione, storytelling un po' di comodo. Tutto quello che non avreste mai voluto sentire sulla cucina italiana lo ha scritto giorni il Financial Times. Voi penserete: so' americani, sono convinti che sulla pizza ci stia bene l'ananas e adorano le fettuccine Alfredo. E invece no. A spifferare certe controverse teorie sulla cucina che proprio qualche giorno fa è stata candidata a patrimonio immateriale dell'umanità è un italiano che vive in Italia, lavora in Italia e mangia in Italia: Alberto Grandi, mantovano come i tortelli di zucca e la sbrisolona. Grandi, che è insegna Storia delle Imprese all'Università di Parma, si è attirato più contumelie di Jorginho quando sbagliò i due rigori che lasciarono gli azzurri fuori dal mondiale del Qatar, ma almeno quello è mezzo brasiliano. «Stanno creando un clima infamante contro i prodotti italiani», scrive l'ex ministro dell'Agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio. «Chi ci accusa di gastronazionalismo forse è soltanto invidioso dei nostri successi», contrattacca il sottosegretario al ministero dell'Agricoltura Luigi D'Eramo. «Un attacco ingiustificato e inaccettabile, ma è soprattutto privo di qualsiasi fondamento», nota la presidentessa di Unimpresa Giovanna Ferrara. Di articolo «surreale», ispirato «da una vecchia pubblicazione di un autore italiano che potrebbe far sorridere, se non nascondesse preoccupanti risvolti di carattere economico e occupazionale», parla invece Coldiretti.

Ma che cosa ha detto il signor Grandi, ohibò? Va detto che già il titolo dell'articolo, che è una lunga intervista firmata Marianna Giusti, è già un «acchiappaclick»: «Tutto quello che io, un italiano, sapevo sul cibo italiano è sbagliato». Va detto che Grandi è noto per un libro (poi diventato podcast), DOI - Denominazione d'Origine Inventata, in cui si diverte a smontare falsi miri sulla cucina italiana, con stile ironico e brillante. Divertente ma innocuo. Ma non appena Grandi ha varcato il confine, apriti cielo.

Grandi è un marxiano (e anche un po' un marziano). Segue le teorie dello storico Eric Hobsbawm, secondo cui «quando una comunità si trova priva di un proprio senso di identità a causa di un qualche shock o frattura con il suo passato, inventa tradizioni come atto fondativo di un mito». E questo avrebbe fatto l'Italia nel secondo dopoguerra, negli anni in cui la miseria lasciò il posto a un travolgente benessere. Partiamo dal panettone: è un'invenzione industriale di Angelo Motta, che un secolo fa nobilitò un dolce fino ad allora più triste e misero, mangiato dai poveri e senza nessun legame con il Natale. E oggi pasticcieri e chef si sfidano a colpi di panettoni artigianali venduti a 45 euro al chilo. Il Tiramisu? È creazione recente, «il mascarpone si trovava con difficoltà fuori da Milano prima degli anni Sessanta». Il Parmigiano? «È antico, ma fino agli anni Sessanta le forme pesavano appena 10 kg e la pasta era più grassa e morbida di adesso», più simile (orrore!) al Parmesan prodotto in Wisconsin. E ce n'è anche per la pizza, che sarebbe un'invenzione americana. Il primo ristorante che serviva solo pizza fu aperto a New York nel 1911, in Italia nel dopoguerra non c'erano pizzerie a parte Napoli. In fondo un po' la stessa storia della Carbonara, nata unendo gli ingredienti a disposizione delle truppe americane giunte in Italia: uova, bacon, formaggio e panna. Poi diventati guanciale, pecorino romano, pepe e ancora uiva. Ma fino agli anni Cinquanta i ricettari italiani recavano un'incredibile varietà di ricette per il piatto che più stimola il dogmatismo culinario nazionale.

Comunque: se la cucina italiana è una tradizione inventata, è la più bella invenzione che c'è.

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