
Nel mondo impazzito di oggi non ci sono più limiti ed è stata persa ogni inibizione. Ormai uno Stato può lanciare droni e missili contro un altro, smentendo l'accaduto o magari parlando di errore: è successo l'altra notte in Polonia e dal Cremlino non sono arrivate neppure le scuse. Oppure si mandano i caccia a bombardare il quartier generale di Hamas, operazione che potrebbe essere pure sacrosanta ma certo non quando si trova nella capitale di un altro stato sovrano: è accaduto a Doha con la regia di Israele. Si è ripetuto quanto era avvenuto in Libano, nello Yemen ed in Iran solo che il Qatar non è uno stato belligerante e tra l'altro ospita la più grande base militare americana in Medio-Oriente. Senza contare che l'attacco è avvenuto mentre il vertice di Hamas stava decidendo sulla liberazione degli ostaggi per aprire la strada alla pace.
Quello che colpisce di due vicende molto diverse è che dopo i fatti i due paesi aggrediti non hanno scelto la via diplomatica, non sono ricorsi all'Onu ormai ridotto ad un sepolcro imbiancato, non hanno mosso le ambasciate se non per ripetere stanchi rituali ma si sono rivolti a quelli che di fatto sono innanzitutto dei partner militari: la Polonia ha invocato l'art. 4 del trattato Nato (dalla sigla del Patto atlantico è avvenuto solo sette volte) per coinvolgere, discutere e decidere con gli alleati una risposta all'ennesima provocazione russa. Mentre il Qatar ha investito direttamente del problema Washington. La ragione è semplice: tira una brutta aria e nessuno lo nasconde. Tant'è che il premier polacco Tusk non ha pudori nell'usare una frase allarmante : "Siamo più vicini che mai a un conflitto mondiale". E il presidente Mattarella azzarda un paragone da brivido: "Siamo su un crinale come nel 1914".
Appunto, cancellando "limiti" e "inibizioni" c'è il rischio che si oltrepassi il punto di non ritorno come avvenne nel '14 e nel '39 senza che nessuno se ne renda conto. Un rischio connesso con un dato che solo i miopi non scorgono: nessuno confida più di tanto nella diplomazia perché oggi quello che conta è la forza. Ne sono convinti gli aggressori, ne sono coscienti gli aggrediti. Anche la pace, le garanzie, la sicurezza si raggiungono con l'equilibrio delle forze in campo. Solo questa condizione (Ucraina docet) rende possibile e fruttuosa una trattativa.
È tornata in auge la filosofia cara all'antica Roma: "si vis pace, para bellum", se vuoi la pace prepara la guerra. Che in fondo non è poi tanto lontana dalla "guerra fredda" che ha tenuto l'Europa al riparo dai conflitti per più di settanta anni. Dispiace ma è la drammatica realtà. Se ne è accorta anche l'Europa, in ritardo, nel discorso di ieri Ursula von der Leyen all'Unione.
Chi non lo capisce, purtroppo, è il populismo di sinistra e di destra. Ieri il dibattito a Montecitorio sulle mozioni di grillini e Avs contro il riarmo mentre teneva banco la notizia dei droni russi caduti in Polonia, era l'immagine plastica di un modo di pensare estraneo al momento. Il mondo va avanti nella sua follia, il pericolo aumenta e c'è chi si tira fuori diventando colpevole di un'irresponsabile inerzia. La causa è inscritta nel dna del populismo: il governo di un Paese esige anche momenti di verità nel rapporto con l'opinione pubblica e magari scelte impopolari.
È difficile spiegare alla gente che ti devi armare per salvaguardare l'autonomia, l'indipendenza, la democrazia e la libertà di una nazione e di un continente. Ma una classe dirigente degna di questo nome, senza scomodare Winston Churchill, è obbligata a farlo.