
Monsignor Giovanni Paccosi, oggi vescovo di San Miniato, ha conosciuto Robert Francis Prevost oggi Papa Leone XIV durante la comune esperienza missionaria in Perù. In questa intervista ci racconta chi è il nuovo pontefice, dal punto di vista di chi lo ha visto all'opera da vicino.
Quando ha conosciuto Robert Francis Prevost?
«L'ho conosciuto nel 2014, quando è stato nominato prima amministratore apostolico e poi vescovo della diocesi di Chiclayo, in Perù. Io ero parroco a Lima, nella diocesi di Carabayllo, dove ho vissuto come missionario dal 2001 al 2016. Andavo spesso a Chiclayo per visitare la comunità di Comunione e Liberazione, e lì ho avuto modo di vedere da vicino il suo stile: affabile, ma anche molto deciso».
Quali aspetti del suo ministero episcopale l'hanno colpita di più?
«La sua grande attenzione ai poveri, che rappresentavano la maggior parte della sua diocesi. Ma non solo: era molto impegnato anche nella formazione, sia nei seminari sia nelle università. Voleva creare una vera coscienza missionaria nella Chiesa, che ravvivasse le energie e unisse le persone. Un altro punto importante era il suo rapporto con gli altri vescovi: in poco tempo è diventato vicepresidente della Conferenza episcopale peruviana. Aveva una capacità naturale di tessere legami e creare unità».
Ha un aneddoto personale legato a lui?
«Quando sono stato nominato vescovo, ho partecipato al corso per i nuovi vescovi a Roma, presso la Congregazione guidata proprio da Prevost. Era da poco arrivato in Vaticano. Ricordo che parlammo dei tempi del Perù e mandammo insieme un messaggio a un comune amico sacerdote. Gli chiesi se sentiva nostalgia della vita pastorale. Mi rispose di sì, ma aggiunse che era stato il Papa a chiamarlo per quell'incarico».
Cosa distingueva il vescovo Prevost nel suo modo di vivere la fede?
«Mi ha sempre colpito la sua attenzione alla pietà popolare. Si immedesimava profondamente con la fede semplice della gente. Voleva andare a fondo nel rapporto con la Madonna e con i Santi. Un caso emblematico è quello di Eten, una cittadina della diocesi di Chiclayo, dove nel Seicento è apparsa un'immagine vivente di Gesù Bambino nell'ostia consacrata. Mentre il vescovo dei tempi non ci aveva creduto, Prevost ha raccolto 20.000 testimonianze e le ha portate a Papa Francesco, chiedendogli di dichiarare Eten città eucaristica, cosa che poi è effettivamente avvenuta».
Secondo lei sarà un Papa conservatore o progressista?
«Non credo che queste categorie si possano applicare. La sua passione per Cristo è una passione per ogni persona umana. Non si vive il cristianesimo come qualcosa di intimista o individualista, ma sempre nella dimensione della comunità e della comunione. Le categorie non possono bastare per descrivere il Papa».
È più simile a Francesco o a Benedetto XVI?
«Direi che unisce in sé lo sguardo verso le periferie tipico di Francesco e la profondità culturale e teologica di Benedetto. È attento ai poveri, ma anche lucido nell'analisi delle sfide che oggi vive l'Occidente. Mi sembra di poter dire, avendo ascoltato le sue parole in questi primi giorni di pontificato, che il punto vero sia quello di servire Cristo.
Ha scelto il nome del successore di Leone XIII. Oggi ci troviamo all'interno di una rivoluzione legata alle nuove tecnologie. E la sfida, per la Chiesa, è rendere visibile Cristo nella circostanza concreta del mondo in cui viviamo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.