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"Atto politico insindacabile". La Corte dei conti sancisce la supremazia sulla giustizia

L'archiviazione dell'inchiesta su Zingaretti e Raggi apre nuovi scenari sulla separazione dei poteri

"Atto politico insindacabile". La Corte dei conti sancisce la supremazia sulla giustizia

C'è qualcosa di rivoluzionario nella decisione della procura della Corte dei conti di archiviare l'inchiesta contro Nicola Zingaretti e Virginia Raggi per l'acquisto del palazzone del costruttore Parnasi all'Eur, destinato a diventare sede della Provincia di Roma (all'epoca governata dal segretario dimissionario del Pd). La decisione del viceprocuratore generale Gaia Palmieri, che oltre a quelle del sindaco di Roma e del governatore laziale ha archiviato anche altre 33 posizioni (su 37 indagati in totale) segna un precedente importante nel rapporto tra magistratura (contabile, in questo caso) e politica. Lasciando cadere le accuse sulla base delle deduzioni presentate nella memoria difensiva di Zingaretti dai suoi avvocati, Edoardo Giardino e Valerio Tallini, che hanno convinto il viceprocuratore della insussistenza delle condizioni per arrivare al processo. E tra i punti chiave su cui hanno puntato i legali di Zingaretti, la pietra tombale dell'indagine della Corte dei conti, accolta dalla stessa procura, è stata l'insindacabilità dell'atto politico, relativamente alla scelta da parte della Giunta provinciale di costituire un fondo immobiliare per l'acquisizione di quell'immobile. In pratica, la decisione era squisitamente politica, hanno sostenuto Tallini e Giardino, e il viceprocuratore Palmieri ha sposato la stessa linea, definendo quella scelta della provincia presieduta da Zingaretti, principale oggetto di contestazione della procura della Corte dei Conti, che lo riteneva origine di un danno erariale, «una scelta discrezionale sindacabile dal Giudice contabile entro limiti ristretti».

Insomma, dietro al sospiro di sollievo per il governatore laziale e per la sindaca di Roma, emerge l'affermazione di un principio, un paletto, che permette di marcare il confine invalicabile - tra l'azione degli esponenti politici e le contestazioni della magistratura.

Se un sindaco decide di finanziare una determinata opera con un determinato strumento, al netto della correttezza dell'iter, dovrebbero essere i suoi elettori a giudicarlo e non un pm o un giudice, che su quella scelta discrezionale non possono sindacare. Un principio che, nel provvedimento di archiviazione parziale, viene stampato nero su bianco dal viceprocuratore Palmieri che, a proposito della scelta di costituire il fondo, come strumento per quell'operazione immobiliare, politicamente discutibile quanto si vuole, scrive che si tratta di «valutazioni discrezionali che, alla luce delle controdeduzioni in atti, non appaiono caratterizzate da irragionevolezza o arbitrarietà, e perciò non sono sindacabili in questa sede». Non ci sono dunque illeciti erariali per i quali indagare ancora Zingaretti o la Raggi, e anzi dalla magistratura contabile arriva un precedente che potrebbe appunto definirsi rivoluzionario per riaffermare il principio della separazione dei poteri. Resta da vedere, ora, se questo confine - tracciato sull'asfalto della strada che ha portato all'archiviazione di Zingaretti e Raggi - verrà rispettato anche quando altri magistrati saranno chiamati a pronunciarsi su vicende che riguardino scelte di indirizzo politico.

Magari anche di altre parti politiche.

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