L'ultimo giorno di Azovstal è un soldato che fuma riparandosi dalla pioggia dentro un girone dantesco fatto di lamiere e muri diroccati. Così uno si raffigura l'inferno, semmai.
L'ultimo giorno di Azovstal è in un video potente e poetico che dura quattro minuti, basato sul materiale girato da Orest, al secolo Dmytro Kozatsky, il soldato-fotografo che prima di lasciare l'acciaieria consegnandosi ai russi, non sapendo quale fosse il suo destino oppure immaginandolo segnato, ha condiviso tutti i suoi scatti e i suoi video di due mesi di resistenza dentro l'ultima roccaforte ucraina a Mariupol. Un testamento per immagini che l'agenzia Babylon'13 Film Association si è incaricata di montare e diffondere.
Azovstal ora è vuota. I suoi occupanti sono nelle mani dei russi, nell'autoproclamata Repubblica di Donetsk. Quanti di preciso non si sa. Venerdì sera i russi, annunciando la presa dell'impianto siderurgico, avevano parlato di un totale di 2.439 combattenti arresisi, ma ieri l'American Institute for War Studies (Isw) ha avanzato il dubbio che i russi possano aver sovrastimato il numero dei combattenti asserragliati «per massimizzare il numero di prigionieri di guerra russi che possono essere scambiati con i soldati ucraini o per evitare l'imbarazzo di dove ammettere che hanno tenuto un assedio di mesi contro soltanto centinaia di soldati ucraini».
Che siano qualche centinaio o migliaia, ora il mondo si chiede quale sarà il destino degli eroi di Azovstal. Quelli che rischiano di passarsela peggio sono i volontari del battaglione Azov, che Vladimir Putin ritiene dei nazisti e dei terroristi. Ciò li condannerebbe a non vedersi riconosciuto lo status di prigionieri di guerra con le sue guarentigie e a subire un processo che probabilmente si concluderebbe con una esecuzione brutale. Ma ieri il leader dei separatisti filorussi di Donetsk, Denis Pushilin, citato dai media di Mosca, ha detto che tutti i combattenti di Azovstal dovrebbero finire davanti a un tribunale di Mosca, perché questa è «la richiesta dei cittadini e della società». Che la sorte di quelli che gli ucraini considerano degli eroi e i russi degli eversori esaltati non sarà felice lo dimostra anche l'umore della moglie di uno di essi, ascoltata dalla Cnn: «Mio marito - le sue parole - sta passando da un inferno a un altro inferno. Mi ha scritto due giorni fa. La situazione è davvero difficile e orribile». Mistero nel mistero, poi, che fine abbia fatto Denis Prokopenko, comandante del battaglione Azov, portato via dall'acciaieria venerdì sera con un veicolo blindato speciale «perché - la spiegazione del portavoce del ministero della Difesa russo, generale maggiore Igor Konashenkov - i residenti lo odiavano e volevano ucciderlo per le numerose atrocità commesse».
Propaganda pura, ovviamente. Questo garantismo russa non rassicura nessuno. Nemmeno Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, che recapita a Mosca un messaggio cifrato travestito da rassicurazione: «I ragazzi hanno ricevuto un segnale dai militari per uscire e salvare le proprie vite. Il resto dipende dalle responsabilità prese da Onu, Croce Rossa internazionale e Russia». Come a sollecitare l'opinione pubblica mondiale a fare da sentinella e Mosca a mantenere la parola data per far salva la vita degli ex asserragliati. Che però anche il presidente-attore non si fidi del tutto si manifesta chiaramente con un'altra frase: «La ripresa dei negoziati con la Russia dipenderà dal fatto se i russi salveranno la vita dei difensori del Mariupol». Per Zelensky la soluzione è una sola: «Uno scambio di prigionieri che coinvolga i combattenti usciti dall'acciaieria di Azvostal».
E ieri si sono fatti sentire anche i proprietari dell'acciaieria. In un'intervista al Corriere della Sera Yuriy Ryzhenkov, ad del gruppo Metinvest che controlla Azovstal, ha annunciato una causa per dieci miliardi di dollari per le distruzioni apportate dai bombardamenti russi che hanno semidistrutto l'impianto siderurgico.
«Non lavoreremo mai sotto l'occupazione russa - garantisce Ryzhenkov - e chiediamo agli europei e agli altri clienti di non comprare prodotti degli impianti di Mariupol finché noi, i soli proprietari, non ne avremo ripreso il controllo».
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