I l 21 gennaio, giorno di Sant'Agnese - onomastico della moglie di Matteo Renzi - potrebbe passare alla storia per la nascita del PdN. Il Partito della Nazione. Ma anche il Partito del Nazareno. Quell'accrocco politico apparentemente senza capo né coda - un po' Pd, un po' Forza Italia e una spruzzata di centristi - che probabilmente traghetterà l'Italia a una nuova stagione politica, timbrando le riforme che il Paese attende e - en passant - cambiandone la geografia politica.
Quello che è accaduto ieri al Senato non è solo un incidente di percorso nel cammino di questa maggioranza, è probabilmente un punto di non ritorno, anche in considerazione dell'importanza del tema su cui si sono inceppati i pallottolieri di Palazzo Madama. È come quando il quarto uomo a bordo campo alza il tabellone luminoso che segnala una sostituzione: dalla squadra che gioca con Renzi escono almeno 27 (ma più probabilmente 29) uomini e donne del Pd, quelli che ieri hanno votato contro l'emendamento Esposito, che mette il turbo all'Italicum e che lo stesso deputato renziano bolla come «parassiti. Se ritieni che Renzi sia il peggio del peggio allora esci e fai un altro partito». Seguono scuse, ma il danno e fatto. Al loro posto entrano una cinquantina tra esponenti di Forza Italia e Gal. Sono loro a permettere a Renzi di non andar sotto in una tappa fatidica del processo delle riforme. Sono loro, a tutti gli effetti, i nuovi alleati del premier.
Alleati a progetto, diciamo così. Ma un progetto di acciaio. Che rende il Partito del Nazareno (o della Nazione) un brand preferibile alle sigle ufficiali dei due partiti principali, spaccati al loro interno. Certi matrimoni di interesse, si sa, sono assai più civili e affidabili di quelli d'amore. I due leader, Renzi e Berlusconi, hanno in mano il boccino. Conducendo a colpi di ukaze la nuova legge elettorale in porto blinderebbero le loro rispettive leadership , dal momento che l'Espositellum prevede un premio di maggioranza per la lista che al primo turno incassi almeno il 40 per cento dei voti, oppure per quella che vince il ballottaggio tra le prime due, escludendo alleanze e apparentamenti. Ciò che di fatto toglierebbe qualsiasi potere di ricatto ai piccoli partiti - sia agli attuali sia a quelli eventualmente generati dalla probabile diaspora del Pd e dalla «diasporina» di Forza Italia - facendo rinascere di fatto il bipolarismo se non addirittura il bipartitismo.
Naturalmente lo scena successiva è il voto: l'alleanza «contronatura» si scioglie, Renzi e Berlusconi tornano avversari. Ma avversari veri, che, con le nuove regole chiare e condivise, possono sfidarsi senza il disturbo dei malpancisti, senza il ricatto dei fronti interni, consapevoli che chi vince governa e chi perde si dà pace (e fa opposizione). Certo, tra il dire e il fare c'è di mezzo il Quirinale. L'elezione del presidente della Repubblica sarà la prova su strada del PdN. Naturalmente la nuova contabilità parlamentare rende vieppiù improbabile la fumata bianca ai primi tre turni, ma spalanca le porte a una convergenza su un nome Pd gradito ai moderati al quarto turno. Sarebbe quello il vero varo del PdN. Nel frattempo, meglio fare i finti tonti. «Non c'è in vista alcun cambio della maggioranza di governo: Forza Italia è all'opposizione e ci resterà, anche dopo il voto del Quirinale», garantisce il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini.
«È assolutamente prematuro parlarne - nicchia il forzista Paolo Romani - c'è una maggioranza sulle riforme in cui Forza Italia è assolutamente decisiva». Sarà. Noi intanto attorno al 21 gennaio abbiamo messo il cerchietto rosso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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