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La Bce non molla la presa: "Alziamo i tassi senza pause"

Costo del denaro su di 0,25% a 3,75%. Lagarde: "Inflazione ancora alta". E da luglio caleranno gli acquisti di Btp

La Bce non molla la presa: "Alziamo i tassi senza pause"

Dieci contro sette: non è una partita di calcio finita in rissa, ma la distanza che ancora separa le strette monetarie decise dalla Federal Reserve da quelle delle Bce, dopo che quest'ultima ha ieri alzato i tassi di un quarto di punto, al 3,75%. Mossa gattopardesca con cui l'Eurotower, avendoci risparmiato l'ennesimo giro di vite extra-strong, ha fatto solo finta di aver alzato un tantino il piede dall'acceleratore finendo invece per servire l'ennesima polpetta avvelenata ai Paesi con più alto debito, a cominciare dal nostro.

In realtà, non è cambiato nulla: lì a Francoforte sono ancora inchiodati allo slogan lotta dura e senza paura all'inflazione. Senza troppo curarsi delle conseguenze. I timidi ditini alzati di chi, all'interno del board, provava a suggerire un gesto di discontinuità, piegati ancora dai falchi. Per loro, il nemico è ovunque: si mimetizza sotto salari in aumento; si cela sotto i margini di profitto di chi col carovita ci marcia (la spirale prezzi-profitti contro cui aveva puntato l'indice Fabio Panetta, membro del consiglio direttivo); si profila all'orizzonte attraverso i nuovi rincari dei prezzi di cibo ed energia alimentati dalla guerra in Ucraina. Ergo, eravamo tutti d'accordo sul fatto che serviva un nuovo rialzo dei tassi e che non ci fermiamo: abbiamo altra strada da fare per domare l'inflazione, ha spiegato la presidente Christine Lagarde. Peraltro capace di contraddirsi, dans l'espace d'un minute, avendo poco prima affermato che il consenso sull'aumento è stato quasi unanime.

Ciò che più conta, comunque, è che la decisione di ieri certifica lo iato che si verrà presto a creare fra Fed e Bce. A Eccles Building c'è aria di voler mettere in pausa la lunga volata restrittiva. Il wait and see è sempre meglio che tirare troppo la corda. Il rischio è quello di nuocere alla salute già precaria dell'economia e di assestare un colpo di maglio a quei cristalli di Boemia che sono le banche regionali.

Proprio ieri, due cattive notizie: la fusione fra la traballante First Horizon e la Toronto-Dominion Bank è andata a gambe all'aria, mentre le azioni di PacWest Bancorp sono crollate poiché la malmessa banca californiana sta cercando un acquirente o nuovi capitali. Oscar per il tempismo a Jerome Powell, che giusto 24 ore prima aveva assicurato che il sistema creditizio è sano e solido.

L'aspetta e osserva della Bce, convinta nel verbo lagardiano della resilienza del settore credito (come se gli starnuti a stelle e strisce non fossero mai arrivati fin dentro le mura di Eurolandia), si limita invece alla reiterazione del mantra secondo cui le future decisioni di politica monetaria dipenderanno dai dati in arrivo. E' lo strano modo di ragionare di chi ha già messo in canna altri rialzi dei tassi, arma contundente per famiglie e imprese, cappio attorno al collo per le banche gonfie di bond governativi e ideale passaporto per avvicinare l'eurozona ai confini della recessione.

Una linea, in perfetta sintonia con l'aria gelida di austerità che soffia sull'Europa (vedi alla voce riforma del Patto di stabilità), le cui fisiologiche appendici sono due. La prima, con piagnisteo incorporato (La Bce non può far tutto da sola, si lamenta Lagarde) è l'intimazione ai governi ad abrogare, in modo concertato, le misure di sostegno decise per contrastare la crisi energetica.

Al rogo, quindi, il decreto bollette da quasi 5 miliardi approvato dal governo Meloni. La seconda è la rimozione degli ultimi cascami del quantitative easing di Mario Draghi. Da luglio, non saranno più reinvestiti i 15 miliardi di euro del programma App.

Per dirla con la Rettore, dammi una lametta che mi taglio le vene.

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