Hanno provato a tirarla per il tailleur, ma niente da fare: Christine Lagarde, la paladina a scoppio ritardato nella lotta all'inflazione, ha messo ieri in canna un altro rialzo dei tassi dello 0,75% e lo ha sparato per l'aere di Eurolandia. Tocca così di rivedere il costo del denaro al 2%, come non accadeva da prima della crisi del debito sovrano. Consentiti i gesti apotropaici, poiché i genieri dell'irrigidimento monetario sono pronti ad alzare altre barriere frangiflutti. «Abbiamo finito? La riposta è no - ha detto la presidente della Bce - Per raggiungere la destinazione finale dei tassi potrebbero occorrere diversi meeting». Il solco è tracciato, a difenderlo lo spadone dei falchi all'interno della banca centrale. Nella migliore delle ipotesi, in dicembre l'Eurotower ci metterà sotto l'albero un cadeau sotto forma di una stretta di «appena» mezzo punto. Ci sperano i mercati (+0,9% la Borsa di Milano, spread sceso a quota 205), che in qualche maniera hanno interpretato come meno aggressive del previsto le parole rimbalzate da Francoforte. Nel 2023 è comunque assai verosimile che i tassi si assestino al 3%, con buona pace di chi teme di dover fare i conti con una recessione severa e un'inflazione ancora appiccicosa.
È lo scenario peggiore che continua a mancare nelle analisi di Madame&Co. C'è giusto la concessione che l'economia è «rallentata notevolmente nel quarto trimestre» e che ulteriori frenate sono attese da qui alla prima parte dell'anno prossimo.
Poi, si passa a sopire e troncare le preoccupazioni di chi, come più di recente il premier Giorgia Meloni, ha definito «un azzardo» questo continuo tiro alla fune sui tassi. Dopo aver dedicato agosto al flusso di coscienza joyciano, Christine rispolvera il dantesco «non ragioniam di lor, ma guarda e passa»: «Dobbiamo fare quel che c'è da fare, la Bce ha i suoi obiettivi. Siamo preoccupati per l'inflazione (al 9,9% in settembre, ndr) che sta colpendo molto i consumatori e non c'è solo il rischio recessione, ma anche quello dell'impatto dei prezzi». «Confidiamo nella saggezza della Bce nell'interpretare le cause della recente impennata dell'inflazione e nel tener conto del rallentamento in corso nell'economia europea», la replica del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti.
Ma tra i due mali, l'Eurotower ha già scelto quello che reputa minore, puntando sulla frenata dei consumi e sulla maggiore disoccupazione. «La politica monetaria mira a ridurre il sostegno alla domanda», ha infatti confessato Lagarde che deve aver sfogliato l'agenda Monti. A fronte di una rigidità da binario nella gestione delle leve monetarie, la Bce chiede ai governi l'elasticità di chi fa «body jumping»: abbassare i debiti e far metter su muscoli al Pil. Ora, resta da capire come l'impresa sia possibile in tempi di rendimenti in ascesa sui bond sovrani, per effetto delle strette al costo del denaro, e con una recessione incombente.
Per il resto, non una parola sullo scudo anti-spread. In compenso, la Bella addormentata sul posto si è finalmente accorta del regalo concesso per mesi alle banche attraverso i 2.200 miliardi prestati a tassi agevolati con i Tltro. Quindi, si cambia la musica: dal 23 novembre, chi vuole denaro dovrà pagarlo a un tasso indicizzato ai tassi di interesse chiave della Bce.
Infine, renderanno meno le riserve parcheggiate presso l'Eurotower, visto che la remunerazione è stata agganciata al tasso di deposito (salito all'1,5%, 50 punti in meno di quello principale), in modo da non stressare ulteriormente i bilanci delle banche centrali nazionali. Anche se il danno è già stato fatto (30 miliardi annui di esborso), meglio tardi che mai.
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