C'era un "attualissimo pericolo di fuga". Per questo gli arresti sono scattati all'alba, prima che Mohammad Hannoun attuasse il suo piano di trasferirsi in Turchia e si imbarcasse su un volo con cui ieri avrebbe dovuto raggiungere Istanbul, per aggirare eventuali provvedimenti restrittivi. Lui e gli altri fermati avevano già ripulito i pc e si erano sbarazzati di documenti compromettenti. Poi, le perquisizioni nei magazzini di tre associazioni benefiche per la Palestina con sede a Milano e a Genova, dove sono stati trovati sacchi gonfi di mazzette da 50 e 100 euro. In tutto il gip confisca circa 7 milioni di euro di disponibilità finanziarie.
L'impatto dell'inchiesta - coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo - che su richiesta della Dda di Genova ha portato a nove arresti eseguiti dalla Digos e dalla Guardia di Finanza, è fortissimo. Perché svela l'esistenza di quella che viene definita "una cellula di Hamas" in Italia. E muove accuse pesantissime dietro a quella che finora, nonostante le inchieste giornalistiche anche di questo Giornale, veniva spacciata per solidarietà al popolo palestinese. Secondo i pm il 70 per cento dei soldi ottenuti con le donazioni dall'Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese (A.b.s.p.p) - gestita da Hannoun, già presidente dell'Associazione Palestinesi d'Italia - con il supporto di altre tre società collegate, era invece diretto ad Hamas e a sedicenti charity legate all'organizzazione terroristica. I soldi sarebbero arrivati attraverso triangolazioni finanziarie tra Italia, Turchia, Giordania, Egitto e Gaza, ma anche attraverso "spalloni" in grado di trasferire il denaro.
Parte dei fondi sarebbe andata anche ai familiari di attentatori suicidi o di detenuti per terrorismo, per rafforzare la propaganda di Hamas. Il "capo" della cellula italiana e "vertice del comparto estero di Hamas" sarebbe proprio Hannoun, il 63enne architetto palestinese già finito negli anni in varie black list. Con una rete di sodali in Italia e all'estero avrebbe gestito per vent'anni un sistema di raccolta fondi che, dietro dichiarati intenti umanitari, avrebbe in realtà sostenuto economicamente "le attività criminose" di Hamas. Dal 2001, ma soprattutto dopo il massacro del 7 ottobre, ricostruiscono gli inquirenti, almeno sette milioni di euro sarebbero finiti nelle casse dell'organizzazione terroristica, "sottraendo tali fondi alle reali necessità della popolazione civile di Gaza". Il tutto nella totale "adesione" ideologica a quel massacro e alla lotta contro i "cani sionisti", come dicono gli indagati nelle intercettazioni.
Gli inquirenti hanno inseguito il denaro. L'indagine, svolta dalla Digos, col Nucleo Economico e quello Valutario della Guardia di Finanza, è partita su impulso della Dna guidata da Giovanni Melillo, a seguito dell'analisi di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette. E ha scoperto una rete europea strutturata tra Olanda, Austria, Francia e Regno Unito, che opera coordinandosi con i terroristi a Gaza. Il cui pilastro sarebbe proprio la cellula italiana, rispondente direttamente alla leadership di Hamas. In manette sono finiti diversi dipendenti dell'Associazione benefica di Hannoun considerati anche loro esponenti del "comparto estero di Hamas".
Tra cui anche Osama Alisawi, già ministro del governo di Gaza, e cofondatore dell'associazione. I finanziamenti finivano direttamente a membri di Hamas o ad associazioni "con sede nella Striscia, nei Territori Palestinesi o in Israele", dichiarate illegali da Tel Aviv, perché controllate dai terroristi. Nelle intercettazioni, gli indagati si preoccupano di come aggirare i blocchi finanziari delle associazioni compromesse, creandone di nuove apparentemente estranee. Dalle carte emerge un giro enorme di denaro. Per capire la forza finanziaria della rete, basti sapere che un dipendente dell'associazione benefica, Abu Rawwa, avrebbe acquistato circa 40 immobili all'asta "in un arco temporale ristretto". Ed è proprio lui che una sera arriva in auto a Milano da Sassuolo, e consegna ad Hannoun uno zaino con 180mila euro: Ecco 180, poi a Sassuolo hanno ancora dei soldi. Oltre a raccogliere donazioni, c'è anche da portare avanti la propaganda per la causa palestinese, "funzionale", scrivono i pm, a incrementare le entrate. Da qui anche il finanziamento al sito di notizie Infopal, che "manifesta assoluta contrarietà al disarmo di Hamas". I soldi si spostano anche attraverso bonifici in chiaro con apparenti causali di beneficenza.
Dai conti correnti di altre associazioni create ad hoc, accesi presso Poste italiane, tra il 2017 e il 2023 sono partiti 168 bonifici verso l'estero per oltre 1,5 milioni di euro, sotto forma di "pagamento adozione a distanza orfani", "pacchi viveri", "pasti caldi", "sostegno famiglia", "pagamento cartella scolastica", verso organizzazioni per la maggior parte legate ad Hamas, spiegano gli inquirenti. Altri 43 bonifici sono andati verso conti correnti turchi per circa 762mila euro. Per gli inquirenti ci troviamo di fronte alla "realizzazione di un progetto strategico di Hamas che si è dotata anche di cellule operanti all'estero". Le associazioni di Gaza che ricevevano i fondi dall'Italia, avrebbero operato "sotto il controllo diretto dell'ala militare" di Hamas, e avrebbero dirottato i fondi "alle sue attività criminose". Insomma, "non si è trattato di elargizioni aventi unicamente scopo caritatevole e umanitario", sintetizzano gli investigatori. Vengono documentati anche i rapporti diretti di Hannoun con alti esponenti di Hamas. Del resto solo poche settimane fa, il palestinese ha preso parte a una riunione in Turchia con Ali Baraka, "esponente di spicco del comparto estero dell'organizzazione terroristica".
Per l'avvocato di Hannoun, Dario Rossi "è un caso più politico che giudiziario. Si cerca un pretesto per metterlo a tacere. Ne parlavamo da tempo con Hannoun e ci chiedevamo quando sarebbe successo: da sei mesi si assiste a una campagna martellante in Parlamento e su alcuni giornali".