Cronache

"Un boato, poi è arrivata tutta quell'acqua nera"

Quello nel Cadore sembrava un nubifragio come tanti e invece: "Mai visto una cosa così terrificante"

"Un boato, poi è arrivata tutta quell'acqua nera"

Più di otto comuni italiani su dieci (82%) hanno parte del territorio a rischio frane e alluvioni, anche a causa dei cambiamenti climatici per le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d'acqua che il terreno non riesce ad assorbire. È quanto afferma la Coldiretti che, nel commentare la tragedia della frana in Cadore, ricorda che nel 2014 in Italia si sono verificati 211 eventi di frana importanti, che hanno causato complessivamente 14 vittime. Le regioni più colpite sono state Liguria, Piemonte, Toscana, Veneto, Campania, Lombardia e Sicilia secondo l'Ispra. «Oggi in Italia 8,6 milioni di cittadini - sottolinea la Coldiretti - vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico, anche per la mancanza di un'adeguata pianificazione territoriale». «A questa situazione - denuncia la Coldiretti - non è certamente estraneo il fatto che un modello di sviluppo sbagliato ha tagliato del 15% le campagne e fatto perdere negli ultimi venti anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata. Ogni giorno viene sottratta terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) che vengono abbandonati o occupati dal cemento che non riesce ad assorbire la violenta caduta dell'acqua». In ogni caso in dieci anni in Italia è raddoppiata l'area dei territori colpiti da alluvioni e frane, da una media di quattro a otto regioni all'anno. Nelle aree a rischio spesso si trovano anche abitazioni (85%), industrie (56%), hotel e negozi (26%), scuole e ospedali (20%). Negli ultimi anni c'è stato un aumento straordinario dei Comuni a rischio idrogeologico, soprattutto al sud, specialmente tra quelli più piccoli. Tra le cause l'azione dell'uomo con abbandono e degrado, cementificazione, consumo di suolo, abusivismo, disboscamento e incendi.

BellunoPioveva. «Poi, abbiamo sentito un rumore assordante. Abbiamo guardato fuori dalla finestra e...» Nel racconto di quella notte maledetta, la voce si rompe dal pianto. «Abbiamo visto l'acqua. Era nera. Veniva giù velocissima, a pochi metri da noi».

Sembrava sopita, quella frana. Si era staccata l'anno scorso dall'Antelao, ed era rimasta ferma in quota, monitorata, assicura il comune di San Vito di Cadore. Invece, la tempesta l'ha risvegliata. Lei ha cambiato direzione e si è aperta un varco di distruzione fino al cuore del centro abitato, sventrando alcune abitazioni. «Tutto faceva presagire - allarga le braccia il vice sindaco Andrea Fiori - che seguisse il corso già intrapreso. Ma stanotte vista la quantità d'acqua caduta ha preso un'altra strada».

Il materiale roccioso ha gonfiato il Ru Secco, quello stesso torrente che, ironia della sorte, «si chiama così proprio perché di solito ha poca acqua», spiega un residente, fino a farlo esplodere. Tanto da diventare «una valanga». «Non ho mai visto una cosa così spaventosa»: qui, nessuno tra gli abitanti del paesino immerso nella conca delle Dolomiti, ricorda che una cosa simile sia mai avvenuta. E martedì, nessun allerta, nessun allarme che potesse farla presagire. A parte quello meteo. É parso un temporale come i tanti che d'estate si verificano da queste parti. Ma in pochi istanti si è trasformato in un incubo. Il rumore del nubifragio che in venti minuti ha scaricato 33 millimetri di pioggia è stato sovrastato da «quel suono».

Inconfondibile per chi conosce la montagna. «Ho sentito un grande boato. I muri di casa tremavano - dice la titolare di un'abitazione colpita -. Sembrava il terremoto». Era, invece, la colata di fango e detriti che sopraggiungeva come una rapida schizzata. «Ero in casa da sola con il cane, ho subito pensato a una frana. Ho temuto il peggio. Pensavo che arrivasse da sopra e invece è arrivata di lato. Ha fatto tanti danni, ma nient'altro. Sono stata fortunata». Renato, titolare di un piccolo rifugio sfiorato dal dramma, a soli 500 metri dalla seggiovia travolta, la San Marco, ha visto le auto in sosta «trascinate via con una violenza inaudita. Erano almeno cinque. Quando ho capito... be', è un'angoscia che non so descrivere».

Splende il sole dopo il disastro sul Cadore, e sugli occhi di turisti increduli e impreparati a quella catastrofe. Ma resta la paura. Perché la «situazione è ancora di pericolo» avverte il sindaco, Franco De Bon. «Una massa di materiale non compatto e semiliquido è ancora presente. Tutte le opere di difesa sono state sommerse e ora c'è un lungo canale di ghiaia che copre il Ru Secco. Questo, a fronte di una possibile precipitazione, potrebbe innescare un ulteriore movimento franoso». No, «non era possibile prevedere. Quella non era una frana considerata a rischio» fanno sapere dai vigili del fuoco. E il grido d'allarme è del vicesindaco Fiori, per gli «ingenti danni materiali, in particolare intorno alla seggiovia che è stata distrutta», e per cui «è necessaria l'immediata dichiarazione dello stato di calamità».

Ora «lo Stato ci deve aiutare, da soli non ce la facciamo».

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