Milano E se l'Italia uscisse dall'euro? Come prepararsi, che fare?
Giorgio Makula - amministratore delegato di Decalia Asset Management, Sim italiana del gruppo svizzero fondato dal banchiere Alfredo Piacentini, 4 miliardi di affidamenti in gestione - scaccia il pensiero: «Non vorrei neanche prenderlo in considerazione. Sarebbe uno scenario devastante» risponde «ma possibile quanto è possibile una follia». «Sarebbe insiste un disastro planetario, perché un default dell'Italia influenzerebbe i mercati mondiali. Non siamo la Grecia».
Ma il titolare di un patrimonio medio piccolo, diciamo tra i 200 e i 500mila euro di investimenti finanziari, proprietario di un paio di appartamenti, che cosa dovrebbe fare?
«Dovrebbe stare fuori da tutti i bond italiani, pubblici e di società private, perché emessi in euro. Verrebbero ridenominati poniamo in lire o sesterzi con un secco calo di valore dovuto a un Paese fuori controllo. Meglio, piuttosto, qualche titolo azionario italiano di aziende con un alto tasso di esportazioni, per esempio nel settore del lusso».
Che altro?
«Terrei in portafoglio dei bond tedeschi e statunitensi, di durata breve; il rialzo dei tassi Usa è una dinamica che procede, e che può portare a un apprezzamento del dollaro. Resto positivo anche sul franco svizzero. Penserei a un rifugio nell'oro».
E gli immobili?
«Gli immobili sono immobili, restano lì, hanno un valore intrinseco che si rivaluta, e non si possono vendere da un momento all'altro. Piuttosto bisogna sperare che gli inquilini paghino l'affitto...».
Ma quali sarebbero le dinamiche innescate da una migrazione di valuta?
«Ci sarebbe un'immediata svalutazione della moneta nuova e un'importazione di inflazione (e, a proposito, gli immobili difendono dall'inflazione). Poi ci sarebbe tutto il discorso di imposizioni patrimoniali... Ma la nostra, insisto, è un'economia troppo importante, voglio pensare che questa fase politica sia prevalentemente dialettica e che tutto alla fine si risolva con dei compromessi a livello europeo che permettano a ciascuno di non sentirsi sconfitto».
Quindi la nuova moneta nascerebbe svalutata?
«Certo: e il debito dello Stato è denominato in euro, così diventerebbe subito più pesante».
Ci sono precedenti nella storia?
«Di uscita da una moneta comune no, di default sì, pensiamo all'Argentina: meglio evitare, significa povertà per tutti. E poi, con una moneta svalutata diventerebbe più caro uscire dall'Italia, viaggiare. E le materie prime che la nostra economia di trasformazione compra all'estero, in dollari o in euro, diventerebbero repentinamente più care, alterando gli equilibri delle aziende».
I salari sarebbero pagati con la nuova valuta.
«Si, salari con meno potere d'acquisto e inflazione più alta: esplosivo. Ci declasserebbero, lo spread schizzerebbe, le banche e i fondi non comprerebbero titoli italiani, innescando un blocco della liquidità. Finiremmo col denaro razionato al bancomat».
E forse solo a quel punto il popolo capirebbe gli errori.
«Sarebbero dolori».
Ma tutti insistono a dire che l'Italia ha grandi volumi di risparmio privato e di patrimonio immobiliare.
«È vero. Ma questo ragionamento porta a pensare di far fronte al debito pubblico con i soldi dei privati, con una patrimoniale molto forte. Ma insisto: non vedo tutti questi rischi».
E la vecchia pratica difensiva di portare i soldi in Svizzera? Avrebbe ancora senso? Oltretutto oggi lo si può fare legalmente.
«Le banche svizzere infatti non aprono più conti se non si tratta di denaro assolutamente trasparente.
Ma un conto in Svizzera, che va dichiarato, oggi non protegge da imposte patrimoniali. Difende solo da prelievi forzosi e dal blocco dei bancomat. Anzi, in caso di patrimoniali, i conti all'estero potrebbero essere tassati di più».
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