Nessuna luce, solo buio assoluto. Nero come l'interminabile sequenza di ribassi che si vanno a impilare su altri crolli, formando un cumulo di macerie. A Piazza Affari non c'è neanche la forza per un rimbalzo fasullo, quello del «gatto morto» nel gergo cinico dei mercati. Dopo il lunedì nerissimo, ecco ieri un altro giro sul rollercoaster senza freni che punta dritto verso il basso. È ancora sprofondo rosso: -3,21%, con l'indice Ftse Mib incapace di difendere il bastione di resistenza dei 16mila tanto sono ancora fitte le vendite. Un'agonia continua, soprattutto per le nostre banche (-6,52% la media delle perdite), fragili come cristalli e sempre più nel mirino di chi scappa e di chi specula. Con la Borsa ormai arretrata di un drammatico 26% da inizio anno, volano via altri 13 miliardi di capitalizzazione. E non consolano i 130 miliardi bruciati in tutta Europa che, semmai, sono fonte di ulteriore preoccupazione. Le perdite maggiori si sono infatti concentrate nelle Borse della periferia dell'eurozona. Come Madrid (-2,61%), Lisbona (-2,39%) e Atene (-2,89%), dove lo spread rispetto al Bund è tornato a sfondare la soglia dei 1.000 punti. Non accadeva dall'agosto dell'anno scorso, ma la differenza è sostanziale: allora, in seguito all'accordo sugli aiuti, il differenziale andava sgonfiandosi; ora, invece, il fenomeno è opposto e riguarda, benchè in misura decisamente minore, anche il nostro Btp (145 punti) e il bonos iberico (152). Senza tirare in ballo teorie complottistiche, senza rimarcare ancora una volta l'inazione del nostro governo in tutt'altre faccende affaccendato, e senza tornare a sottolineare come pesi la peculiare situazione delle banche italiane (alte sofferenze+400 miliardi di euro di titoli tricolori in pancia), di sicuro qualcosa sta accadendo. Altrimenti non si spiegherebbe il continuo accartocciamento, in Europa, dei listini e dei titoli bancari, crollati ieri di un altro «sobrio» 4% nonostante la rassicurazione di Deutsche Bank sulla propria solidità .È come se ai problemi finora dominanti (frenata della Cina e avvitamento dei prezzi del petrolio), se ne fosse aggiunto uno che ci riguarda molto più da vicino. E che tre pesi massimi come Bank of America, Morgan Stanley e Goldman Sachs hanno squadernare quasi all'unisono in tre diversi report, ma il cui succo è identico. Ovvero: i rischi sistemici, cioè quelli in grado di far saltare il banco, sono in aumento nel Vecchio continente, come dimostra l'ampliamento degli spread. «I timori sono particolarmente acuti per il sistema bancario italiano», non esita a commentare Goldman. Mentre Morgan dice chiaro e tondo: meglio traslocare dall'Europa, e puntare sulle equity, cioè sulle azioni made in Usa e Japan. Siamo forse al «mors tua, vita mea», ai consigli poco disinteressati per rinsanguare l'anemica Wall Street (e la stessa America, visto che la Casa Bianca ha rivisto proprio ieri le stime di crescita al 2,6% nel 2016-17) e così liberare le mani sui tassi alla Federal Reserve, visto che un costo del denaro più alto non può che fare bene alle banche? Chissà. È però evidente una cosa: una così chiara presa di posizione da parte dei tre giganti Usa, capaci di condizionare le scelte di investimento e gli umori dei mercati, non è priva di conseguenze. Nella migliore delle ipotesi, amplifica i timori sulla solidità dell'eurozona, riaffiorati con prepotenza in seguito ai disordini in Grecia provocati dalla riforma delle pensioni. Tutto ciò, tra l'altro, è terreno fertile per far attecchire la proposta di un ministero del Tesoro europeo lanciata dall'asse franco-tedesco.
Idea che si tradurrebbe in un'immediata cessione di sovranità da parte dei singoli Stati nazionali, i cui margini di manovra economica sarebbero a quel punto ridotti al minimo. L'alternativa? La spiattella la stessa accoppiata: regole di bilancio ancora più strette. Come se l'austerity non fosse già bastata. Se qualcuno ancora non se ne è reso conto, sono tempi pericolosi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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