Bossetti in tv: "Il mio Dna sugli slip di Yara? Assurdo"

Il carpentiere condannato all'ergastolo torna a dichiararsi innocente in prima serata

Screen Belve
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Camicia a righe e jeans, il solito pizzetto ingrigito dal tempo e abbronzato come quando si faceva le lampade prima di essere arrestato per l'omicidio di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti è il primo ospite di «Belve Crime», su Rai 2, spin off a sfondo giudiziario del fortunato format ideato e condotto da Francesca Fagnani, che lo intervista nel carcere di Bollate, dove sta scontando l'ergastolo per un delitto che dice di non aver commesso.

Incastrato dal Dna trovato sugli slip e sui leggins della tredicenne di Brembate di Sopra sparita da casa il 26 novembre del 2010 e ritrovata senza vita in un campo a Chignolo d'Isola il 26 febbraio del 2011, Bossetti si è sempre dichiarato innocente, nonostante Appello e Cassazione abbiano confermato la sentenza della Corte d'assise di Bergamo. È sul Dna che si concentrano le domande della Fagnani: «Come c'è finito il suo Dna sulle mutandine?». La risposta del carpentiere di Mapello è quella di sempre, quasi spiazzante davanti ad una prova scientifica difficilmente confutabile: «Vorrei saperlo anch'io». Quando la giornalista insiste sul punto centrale del processo, osservando che le analisi, fatte più volte, hanno dato sempre lo stesso esito, Bossetti risponde che è tutto «assurdo». «Non per la scienza, capisce? Non per la scienza né per la legge», lo incalza la Fagnani.

A questo punto l'ergastolano si sofferma su uno degli elementi principali della sua difesa durante i processi: «Era presente il Dna nucleare, che evidenzia in modo univoco l'identità di una persona e che normalmente si dovrebbe disperdere in poche settimane. Il Dna mitocondriale, che è risaputo da tutti non si può disperdere, non c'è». La giornalista gli fa notare che però «il valore legale e forense ce l'ha il Dna nucleare, è quello che stabilisce l'identità delle persone. E purtroppo per lei e pure per Yara c'era il suo». È un colloquio a tratti teso quello della Fagnani con Bossetti, che ripercorre i momenti più delicati di una vicenda drammatica, che ha toccato profondamente la memoria collettiva degli italiani. Anche se non aggiunge niente a quanto emerso finora, aiuta ad inquadrare la personalità del condannato, un uomo che in cantiere i compagni di lavoro chiamavano «il favola» per il suo vizio di raccontare bugie.

Sui social, dove ieri è stata postata un'anticipazione dell'intervista, i commenti degli utenti

si dividono tra colpevolisti e innocentisti. Molti non condividono la scelta della giornalista di dare spazio ad un assassino e di rendere pop il crime, altri rimpiangono lo stile di Franca Leosini nelle Storie Maledette.

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