Se questa storia del «mediatore di vaccini» - alias il «broker dei big pharma» - non fosse tragica (si «gioca» pur sempre sulla salute pubblica), sarebbe degna della scena del film di Totò in cui si cerca di vendere la Fontana di Trevi.
Da quanto emerge dall'inchiesta di Perugia, infatti, dietro l'offerta di 27 milioni di fialette anti Covid Pfizer e AstraZeneca ci sarebbe una millanteria, oppure un tentativo di truffa ai danni dei dg sanitari delle Regioni che in seguito alla drammatica carenza di vaccini si sono mossi sul mercato per cercarne altri: Veneto, Lombardia, Umbria e Lazio (ma è probabile che la lista sia più lunga).
La procura di Perugia, al momento, è la più attiva nell'opera di tracciamento per risalire alla filiera delle responsabilità in uno scandalo dove tutti i soggetti coinvolti fanno una figuraccia. L'ipotesi dei pm umbri, coordinati dall'ex commisario nazionale anti corruzione Raffaele Cantone, parla espressamente di truffa, ma anche se l'accusa dovesse rivelarsi insussistente, l'inchiesta aiuterà a far luce sulle zone d'ombra del cosiddetto «mercato parallelo» di dosi.
Il Giornale è in grado di ricostruire cosa è accaduto negli ultimi due mesi, attraverso una fonte che ha seguito da vicino le fasi salienti della «trattativa privata» tra il fantomatico «mediatore» e i vertici degli enti istituzionali interessati in qualche modo alle «offerte» degli «approvvigionamenti vaccinali» attraverso «canali alternativi». Il governatore che su questo fronte si è più esposto è stato quello del Veneto, Luca Zaia, che ha ufficialmente comunicato al commissario Domenico Arcuri come i suoi uffici siano stati contattati - «tramite una mail» - da un non meglio precisato «mediatore» che avrebbe proposto l'acquisto «in tempi brevissimi» di «27 milioni di vaccini» (cioè più di quanti vaccini siano stati finora inoculati in tutta Europa, ndr). I collaboratori di Zaia, di fronte a tale proposta, hanno cercato di capire da dove arrivassero le dosi, innescando un vorticoso scambio di pareri, contro-pareri e richieste di autorizzazione da parte della struttura commissariale preposta all'acquisto dei vaccini. Segnalando alle autorità competenti ogni fase della trattativa.
Oggi sappiamo che il miracoloso «broker» è in realtà il titolare di una società aperta con mille euro di capitale, una sola dipendente (la figlia) e forniture commerciali (tra cui «articoli di pelletteria») totalmente estranee a «vaccini e presìdi farmaceutici». Insomma, un'organizzazione che, quand'anche non fosse stata animata da interessi truffaldini, difficilmente poteva in grado di gestire un affare complicatissimo da milioni di euro. Tanto che ieri Zaia ha dovuto ammettere l'eccesso di entusiasmo delle scorse settimane: «Auspico che dalla procura di Perugia ci sia un'inchiesta profonda e molto incisiva. Sono molto ansioso di vedere cosa si verrà a sapere». Per poi aggiungere: «Sono stato io stesso a chiedere al direttore generale della Sanità del Veneto, Luciano Flor, di avvisare i Nas dei contatti in corso. Noi abbiamo fatto il nostro dovere: non siamo andati sul mercato, abbiamo solo raccolto le proposte che ci arrivavano e avvisato le autorità».
A chi lo accusa di essere stato quanto meno «credulone», il governatore veneto replica a tono: «Anche al mio collega dell'Emilia
Romagna, Stefano Bonaccini, hanno proposto vaccini dalla Croazia (circostanza che però Bonaccini ha smentito, ndr). Quando siamo andati a comprare le mascherine e i respiratori, all'inizio era vietato. Poi lo hanno fatto tutti».
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