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Brucia ditta di rifiuti speciali Allarme diossina nel Pavese

L'incendio in un capannone della «Eredi Bertè» I sindaci: «Chiudete porte e finestre, non uscite di casa»

Paola Fucilieri

Milano «L'ennesimo potenziale disastro ambientale scaturito da incidenti in impianti che, in teoria, dovrebbero invece consentire percorsi virtuosi e di economia circolare». Non è stata certo un'impresa verbale e nemmeno un funambolico giro di parole quello utilizzato ieri dal direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani per polemizzare sull'incendio di rifiuti speciali e recupero metalli scoppiato ieri mattina alla «Eredi Bertè» di Mortara, in provincia di Pavia. La realtà, purtroppo, spesso si commenta da sola quando dietro alle fiamme non ci sono solo tragiche fatalità. In particolare se, come ha voluto sottolineare ancora Ciafani, «è rarissimo che i rifiuti prendano così facilmente fuoco durante una gestione in piena sintonia con le normative ambientali e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro».

Montagne di scarti di ogni tipo, alte almeno dieci metri contenenti anche gomma e plastica, hanno iniziato a prendere fuoco intorno alle 6, proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto svolgersi la visita ispettiva semestrale dell'Arpa (Azienda regionale per la protezione ambientale). Ad accorgersene sono stati gli stessi dipendenti. Ed è stato subito chiaro che non si trattava di una sciocchezzuola. Sul posto, infatti, sono arrivate ben dodici squadre dei vigili del fuoco e non solo da tutta la provincia, ma anche da Milano e da Vercelli.

È stato chiaro, sin da subito, che fortunatamente non c'erano feriti. Tuttavia dopo che Arpa e Ats (Agenzia di tutela della Salute) hanno monitorato la presenza di agenti inquinanti nell'atmosfera e diramato, appena mezz'ora dopo l'inizio del rogo, seppur in via del tutto precauzionale per via del vento, avvisi allarmanti a Mortara, Vigevano e comuni limitrofi del tipo «Chiudetevi in casa, chiudete le finestre, non mangiate ortaggi e frutti locali», anche Attilio Visconti, prefetto di Pavia, giunto sul posto poco dopo le 10, vista proprio la quantità di materie plastiche andate in fumo (la colonna nera era visibile nel raggio di 15 chilometri) non ha esitato a parlare subito di «pericolo diossina». E proprio per le diossine «i risultati delle analisi saranno disponibili entro 72 ore dalla consegna al nostro laboratorio» hanno spiegato ieri i tecnici Arpa.

Nel primo pomeriggio, poi, qualche notizia confortante nonostante nemmeno in serata le fiamme siano state del tutto domate. Sempre Arpa ha evidenziato infatti come al momento la situazione non destasse preoccupazione. «Agli ultimi aggiornamenti sui dati relativi agli inquinanti convenzionali monitorati dalle stazioni della qualità dell'aria di Mortara, Parona e Vigevano, che misurano biossidi di zolfo, ossidi di azoto, pm10 - precisava nel tardo pomeriggio un bollettino dell'Azienda regionale per la protezione ambientale - non appaiono anomalie riconducibili all'incendio in corso. Gli andamenti delle concentrazioni degli inquinanti osservati rientrano infatti nella tipica variabilità stagionale. Tutti i valori assoluti sono ben al di sotto dei rispettivi limiti di legge».

Quello di ieri è il quinto incendio a impianti industriali a rischio ambientale in Lomellina in meno di un anno: a dicembre 2016 l'esplosione dell'impianto Est alla raffineria di Sannazzaro, a febbraio un altro incendio all'Eni, a maggio e agosto due diversi incendi all'Aboneco di Parona Lomellina.

Senza contare che il 24 luglio, poi, nel Milanese, a Bruzzano, una quindicine di squadre dei vigili del fuoco avevano lavorato tutta la notte dopo che, intorno alle 20, un grosso rogo sviluppatosi in un altro deposito di rifiuti industriali, aveva talmente invaso dell'odore acre e soffocante di

fumo tutta la periferia nord e l'hinterland di Milano che su Twitter i residenti, anche la mattina dopo, continuavano a scambiarsi messaggi preoccupati: «A Milano non si respira». «Anche in Città Studi odore di bruciato».

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