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La burocrazia che ingolfa lo Stato

Il contribuente italiano è vessato da un'imposizione fiscale abnorme. Per giunta, la complessità dell'ordinamento è tale da costringere ogni cittadino a destinare una parte rilevante del proprio tempo all'assolvimento degli innumerevoli adempimenti.

La burocrazia che ingolfa lo Stato

Il contribuente italiano è vessato da un'imposizione fiscale abnorme. Per giunta, la complessità dell'ordinamento è tale da costringere ogni cittadino a destinare una parte rilevante del proprio tempo all'assolvimento degli innumerevoli adempimenti. Oltre a sottrarci una parte rilevante di quanto produciamo, lo Stato ci priva insomma anche di tantissimo tempo.

Come ha evidenziato Federcontribuenti in una nota a firma di Marco Paccagnella, «il tempo che si richiede per dare corso agli adempimenti fiscali in Italia è in media di 238 ore l'anno, contro le 82 che si impiegano in Irlanda». In aggiunta alla pressione fiscale elevatissima (i soldi da consegnare allo Stato), abbiamo a che fare con una soffocante pressione fiscal-burocratica (il tempo da destinare alla compilazione dei moduli e di tutto il resto). Sempre Paccagnella rileva che è come se un imprenditore o un professionista dovessero dare allo Stato un altro mese del loro lavoro.

Il carattere quanto mai caotico e farraginoso del sistema ha origini ben precise. Nel corso del Novecento, in effetti, l'espansione della mano pubblica è stata resa possibile dal moltiplicarsi di micro-interventi che giorno dopo giorno hanno alzato l'asticella. L'assommarsi delle accise sulla benzina, in questo senso, è illuminante; e purtroppo l'Europa, come mostra la vicenda dei progetti per il Pnrr, sembra essere andata a scuola dai burocrati italiani.

Per giunta, il dilatarsi dei poteri pubblici è stato accompagnato da un proliferare di norme e imposte che non soltanto ha reso sempre più opaco l'ordinamento, ma che ha finito per mettere il cittadino comune in una posizione sempre più scomoda: perché grazie a questa complessità, in Italia non c'è nessuno che possa essere certo al mille per mille di essere del tutto in regola. E da tempo i nostri concittadini sembrano rassegnati di fronte a ciò: persuasi che non vi siano alternative.

In verità, altrove le cose vanno diversamente. Giovedì scorso l'intervento a Villa Tretti dell'ex vice-governatore della Banca centrale ceca, Mojmir Hampl, ha mostrato come l'esperienza della Cechia sia quella di un Paese che non soltanto ha quadruplicato il reddito pro capite negli ultimi tre decenni, ma che soprattutto ha fatto ciò scegliendo la strada di una limitata ingerenza dello Stato (a Praga il bollo-auto non esiste, le tasse sulle società sono del 19% e gli idrocarburi costano tra i 20 e i 30 centesimi in meno che da noi). E anche in Svizzera, in Irlanda e in molti altri Paesi il rapporto tra l'amministrazione e il cittadino è impostato secondo logiche ben poco italiane

La giungla italiana di leggi, obblighi e adempimenti ha per giunta generato negli anni un contenzioso mastodontico, che per il bilancio dello Stato rappresenta un credito (del tutto fittizio) di mille miliardi, ma che per cittadini e imprese è soltanto un'ulteriore vessazione.

Per uscire dal tunnel la strada è una sola: ridurre le spese, abbassare la pressione fiscale e semplificare il sistema.

Questo può creare scontento e contrarietà nei beneficiari dello status quo, ma altre strade non ve ne sono.

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