C'è il fronte libanese. Il monito di Biden: "Hezbollah si fermi". I rischi di escalation

Sul confine si combatte. Washington invia la portaerei Ford. Nel conflitto può entrare l'Iran e tanti Stati arabi. La minaccia di attentati

C'è il fronte libanese. Il monito di Biden: "Hezbollah si fermi". I rischi di escalation
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La grande paura si chiama escalation. Sul confine israeliano-libanese già si combatte a colpi di missili, droni e razzi anticarro. E benché Hezbollah neghi, in Israele cresce la paura di possibili infiltrazioni di droni, deltaplani o gruppi di militanti a piedi. Non è ancora vera guerra, ma può diventarlo. Soprattutto se a fermare il Partito di Dio libanese ci pensasse l'America. Un'eventualità ventilata dal presidente Joe Biden che ha rivolto un duro monito a Hezbollah seguito dall'invio nel Mediterraneo della squadra navale guidata dalla portaerei nucleare Gerald Ford.

Sul confine settentrionale di Israele già si combatte. Ieri mattina un avamposto israeliano è stato colpito da razzi anticarro e, dopo, un drone con la Stella di David ha bombardato una postazione di Hezbollah. Un'evoluzione che evidenzia lo scontro diretto con un Partito di Dio che governa il Libano ed è anche emanazione dell'Iran. E qui sta il dilemma strategico. Nessuno al momento sa come si muoveranno il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah e la dirigenza iraniana. Uno scontro diretto metterebbe in difficoltà un esercito israeliano che ora schiera a Gaza 300mila tra i suoi 170mila effettivi e 465mila riservisti. Quanto resta potrebbe non bastare a contenere Hezbollah e a garantire la sicurezza dei confini di Siria e Giordania e degli insediamenti in Cisgiordania. Le migliaia di testate partite domenica da Gaza stanno erodendo l'arsenale dei sistemi anti missile. Un attacco sul fronte Nord, dove Hezbollah dispone di molte più testate, comprometterebbe sia le riserve, sia l'efficacia di quei sistemi. E la scarsità di risorse renderebbe assai complessa quella guerra nel sud del Libano dove, nel 2006, Israele subì gravi perdite. Anche per questo martedì la Casa Bianca ha indirizzato un duro monito a Hezbollah. «Ho una sola parola: non fatelo» ha ripetuto Biden spiegando di parlare a Paesi, organizzazioni o individui «pronti a sfruttare la situazione». Biden, ieri sera, ha rimarcato: «Hamas è il male puro, non sono solo terroristi».

I gruppi sciiti iracheni e gli houti dello Yemen già promettono attacchi alle basi statunitensi. E il peggio potrebbe scatenarsi in caso di scontro diretto tra Israele e Iran innescato, magari, da un raid israeliano sugli insediamenti nucleari di Teheran. A quel punto Israele, seppur appoggiata dagli Usa, rischierebbe le incursioni dei pasdaran iraniani presenti in Siria. Ma il conflitto oltre a coinvolgere Stati Uniti, Iran, Libano, Siria e Israele può anche destabilizzare gli stati arabi poco disposti a schierarsi contro lo stato ebraico. Lo scenario non ha neppure bisogno della discesa in campo di Stati Uniti e Iran. La sola riproposizione sulle tv arabe dei morti a Gaza rischia di incendiare le opinioni pubbliche di Giordania, Egitto, Arabia Saudita e Irak. Non a caso l'ex capo di Hamas Khaled Meshaal, in esilio nel Qatar, chiede ai musulmani di scendere in piazza dopo la preghiera di venerdi perché «i confini sono vicini a voi». L'altra minaccia per Gerusalemme arriva dall'interno. Sulle chat pro-Palestina già circola l'appello del gruppo armato Arin al Aswad (Tana dei Leoni) che invita i tre milioni di palestinesi della Cisgiordania a colpire con molotov e pietre «in nome dell'orgogliosa Gaza».

Un appello che rischia di far breccia anche nel resto del mondo. E in Israele una rivolta della Cisgiordania potrebbe innescare quella dei due milioni di arabi che vivono dentro i confini mettendo a dura prova la capacità di contenimento degli apparati di sicurezza.

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