A metà degli anni 2000 si diceva che Urbano Cairo stesse per lanciare un quotidiano popolare. Lui giocava sornione con l'idea, un po' smentiva un po' no. Ma il suo studio traboccava di quotidiani popolari di tutto il mondo, che studiava attentamente. In mente aveva soprattutto una domanda: chi sarebbe adatto a dirigerlo? Per lui era l'elemento fondamentale per il successo dell'idea.
Alla fine il quotidiano non l'ha mai partorito. Ma si è comprato Rcs, il gruppo editoriale del primo quotidiano d'Italia. Così è l'uomo e questo è il suo metodo di lavoro. Se vale il precedente, la lunga intervista che ha rilasciato ad Annalisa Chirico per il Foglio, è la prova innanzitutto che Cairo sta valutando da tempo le modalità del suo impegno politico, con quel suo modo instancabile e scientifico. Nell'intervista lui continua a girarci attorno: «Al momento, non saprei immaginarmi in ruoli diversi», dice, ma specificando anche «che nella vita non si sa mai». E, ammettendo di testare periodicamente la propria popolarità con sondaggi affidati a Swg, per tutta l'intervista concede e si sottrae: «Scendere in campo? Non le nascondo che ricevo numerose sollecitazioni in tal senso. In tanti mi chiamano e mi dicono Ma quando ti decidi? È venuto il tuo momento. Tocca a te. Devi darti da fare. Io ascolto tutti, con umiltà, mi fa piacere sapere che qualcuno mi considera il punto di coagulo di un nuovo schieramento».
Ragionando da uomo d'impresa, Cairo sa bene quanto sia importante il timing (il momento giusto, in soldoni) ed è chiaro che rimane quello il punto interrogativo. A riprova, ricorda proprio la sua scalata a Rcs, preceduta dai lunghi studi sulla fattura dei quotidiani, per concludere che la progettava «da dieci anni senza farne mai parola con nessuno, nell'assoluto riserbo. Un giorno l'ho realizzata. I sogni non si svelano in anticipo: si mettono in pratica».
Il resto dell'intervista è un manifesto politico in piena regola. L'approccio è dichiaratamente centrista, di stampo liberale. In economia Cairo suggerisce di intervenire soprattutto per rendere più facile fare impresa in Italia, tema che nella politica nazionale è tanto citato quanto trascurato, sia intervenendo sul lato del lavoro, giù il cuneo fiscale, sia sul capitale, rendendo più facile il credito. Ovviamente, il patron del Torino prima di parlare ha studiato i bilanci dello Stato e concluso che, proprio come ha fatto con le imprese che ha rimesso in sesto, prima di tagliare sulle persone, ci sono 180 miliardi di spese accessorie su cui intervenire.
L'intervista fornisce altri punti fermi: Cairo mira a una creatura politica nuova (ma rifacendosi al precedente di Rcs, va detto che anche allora diceva di voler fare un quotidiano nuovo e poi invece...), europeista («Qualunque ricetta concepita senza o contro l'Europa è destinata a fallire»), liberale.
I riferimenti: Cairo conferma di aver votato in passato per Forza Italia (cui non risparmia qualche critica), ma mai per Salvini. E massacra il governo gialloverde: «Ci hanno fatto perdere quindici mesi». Ovviamente, c'è il suo legame complesso con Silvio Berlusconi, che fu il suo primo datore di lavoro, ma con cui c'è stata in seguito anche competizione. Cairo dimostra di non temerne più l'ombra, ma di non essere un voltagabbana: «Il Dottore resta un fuoriclasse.
L'importante è che lei scriva chiaro e tondo che io non sarò mai l'erede di qualcuno. Io sono molto diverso da lui. Io non attendo alcuna investitura. Nella vita non si prende il posto di qualcun altro. Chi vuole fare fa, e non lo svela in anticipo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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