Parlamento

Caos manovra. Il Pd fa approvare un emendamento da mezzo miliardo. Tensioni al Mef

L'attenuante è che non si votava in pieno autunno da ben 103 anni, per la precisione dal 1919, quando ancora eravamo il Regno d'Italia

Caos manovra. Il Pd fa approvare un emendamento da mezzo miliardo. Tensioni al Mef

L'attenuante è che non si votava in pieno autunno da ben 103 anni, per la precisione dal 1919, quando ancora eravamo il Regno d'Italia. Insomma, da più di un secolo, perché non ci vuole uno scienziato per capire che è un'impresa improba insediare il Parlamento, comporre un governo e poi approvare la legge di Bilancio evitando l'esercizio provvisorio in soli due mesi.

Fatta questa necessaria premessa, però, è pur vero che la gestione della prima manovra dell'esecutivo guidato da Giorgia Meloni poteva essere decisamente meno caotica. Sulle norme su Pos e contante, per esempio. Perché a Bruxelles lo sapevano anche i muri che la Commissione le avrebbe rispedite al mittente. E pure su quei provvedimenti che potevano essere condivisi con gli alleati in fase di prima stesura, evitando così di ridursi a recuperare in corsa con gli emendamenti. Sulle pensioni minime a 600 euro per gli over 75, per esempio, visto che Forza Italia aveva detto chiaro dall'inizio che sul punto non avrebbe accettato passi indietro. Invece, ai tempi già strettissimi a causa del voto autunnale, si è aggiunta anche una gestione piuttosto confusa della legge di Bilancio. Al punto che in privato Silvio Berlusconi non esita a parlare di «impreparazione» del governo che ha deciso di «scaricare tensioni interne sul Parlamento». Con la Camera che rischia di approvare la manovra la mattina del 24 dicembre (con molti deputati che a quel punto farebbero persino fatica a trovare voli ancora liberi per tornare a casa per il brindisi) e il Senato già destinato a una ratifica solo formale. Ancora una volta, insomma, una legge di Bilancio approvata in regime di monocameralismo di fatto. Con il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che è comunque ottimista sul fatto che si riesca a chiudere la pratica entro la mezzanotte del 31 dicembre. Perché, spiega, «l'esercizio provvisorio» sarebbe «un danno per l'Italia» e va assolutamente «evitato».

Al netto degli auspici, però, il punto è che a inceppare il motore della manovra non è tanto l'opposizione, quanto la maggioranza. Certo, il fatto che in Commissione sia stato approvato un emendamento del Pd che finanzia con 450 milioni di euro i Comuni non è un dettaglio. Non essendoci le coperture, infatti, oggi - giorno in cui la manovra approderà in Aula - il testo dovrà comunque ritornare in Commissione con ulteriore perdita di tempo. Così come non passa inosservato lo scontro tra Matteo Renzi e il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Che «mente sapendo di mentire», dice il leader di Iv, che rinfaccia all'esecutivo di aver «azzerato» i soldi per la 18App per darli alle squadre di calcio. Questione su cui interviene direttamente Meloni, per dire che è solo stata «sostituita e migliorata con due nuove misure»: Carta cultura giovani e Carta del merito. La prima «è un bonus per i 18enni le cui famiglie hanno un Isee non superiore a 35.000 euro, l'altra prevede 500 euro per chi consegue il diploma con 100/100».

Il caos, però, nasce soprattutto dalla mancanza di coordinamento nella maggioranza. Tra i partiti e anche con l'amministrazione, che non sembra aver ancora trovato una sintonia con i nuovi vertici politici. Certo, il nodo vero restano le tensioni tra alleati. Quelle tra Palazzo Chigi e Forza Italia, ma pure quelle tra il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) e il suo vice Maurizio Leo (Fdi) sulla tregua fiscale.

Incomprensione che si va allargando all'interno del Carroccio, visto che il sottosegretario leghista al Mef, Federico Freni, rinfaccia a Giorgetti di essere troppo schiacciato sulla Meloni.

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