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Caos ripartenza

Tutti in ordine sparso, l'un contro l'altro armati. Con il premier Giuseppe Conte in mezzo, con nulla in mano se non la rabbia per un'impasse che allontana la Fase 2 e perfino per la Fase uno e mezzo che almeno metterebbe qualche cavallo vapore in più al motore di un Paese ingolfato

Caos ripartenza

Tutti in ordine sparso, l'un contro l'altro armati. Con il premier Giuseppe Conte in mezzo, con nulla in mano se non la rabbia per un'impasse che allontana la Fase 2 e perfino per la Fase uno e mezzo che almeno metterebbe qualche cavallo vapore in più al motore di un Paese ingolfato.

Doveva essere una giornata importante per il governo, per schiarirsi le idee in vista di un restart. È stata, invece, una Caporetto. Il presidente del Consiglio ha parlato al telefono con il capo della commissione dei 17 chiamata a manovrare la ripartenza, il supermanager Vittorio Colao, e ha scoperto che non riceverà dai «magnifici» 17 nessun rapporto, nessun decalogo, niente di niente: solo qualche raccomandazione, probabilmente pronunciata direttamente da Colao tra qualche giorno, e fine delle trasmissioni.

In realtà questo «plateau» politico nasconderebbe, oltre a differenti visioni (Conte più aperturista, Colao più prudente) una spaccatura molto pronunciata all'interno della task force per la Fase 2. Che, pur dovendosi occupare della ripartenza, sarebbe stata la prima a non partire. Colao infatti non sarebbe affatto soddisfatto del contributo dei colleghi (tra i quali l'ex ministro Enrico Giovannini e il presidente di Cassa depositi e prestiti Giovanni Gorno Tempini) chiamati ad affiancarlo. Da essi non sarebbe arrivato nessun contributo organico, ma consigli e pizzini che vanno in mille direzioni diverse. A sua volta Colao sarebbe stato sulle scatole a molti di loro per il suo protagonismo e la voglia di fare tutto da sé. Insomma, altro che commissione dei 17: piuttosto un 1+16. A peggiorare tutto la spaccatura tra regioni avanguardiste a trazione leghista e regioni meridionali più prudenti, che ha fatto rizzare i capelli a Colao. Lui da certe cose vuole tenersi a debita distanza.

C'è poi un conflitto personale tra Conte e Colao. Il premier non ha mai digerito la scelta del manager a capo della commissione, ed è chiaro il perché: teme che Colao possa soffiargli il posto a capo di un futuribile esecutivo di salvezza nazionale. Per questo ne sminuisce il ruolo ma senza esagerare, perché se Colao fa gli scatoloni e lascia rischia di diventare il martire del governo e diventare il capo virtuale dell'opposizione. Di certo Conte non sopporta gli atteggiamenti di Colao, ma soprattutto il fatto che questi al momento sia a Londra. Da notare ieri l'excusatio non petita del capo della protezione civile Angelo Borrelli: «Ho preso parte a tutte le riunioni della task force Colao e posso assicurare che non c'è alcuna divergenza con il presidente Conte». Peccato che sarebbe proprio Borrelli uno degli esponenti di spicco degli anticolaisti.

E così ieri la videoconferenza tra il premier e gli sherpa dei partiti di maggioranza Alfonso Bonafede, Dario Franceschini, Teresa Bellanova e Roberto Speranza sulla fase due è diventata interlocutoria. Troppi esperti, troppe task force e nessuno che decida.

E il motore dell'Italia è sempre più imballato.

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