
Senza volerlo, e probabilmente senza rendersene conto, Donald Trump ha dato modo al Canada di fornire al mondo un esempio di come si debba reagire al suo bullismo: tenendo la schiena dritta. È quello che ha fatto Mark Carney, vincitore ieri delle elezioni nel grande Paese nordamericano vicino degli Stati Uniti, fin da quando Trump è stato rieletto presidente nello scorso novembre. Da allora il Canada è stato oggetto di provocazioni e pressioni letteralmente inaudite da parte di un Paese che non solo è il suo storico alleato numero uno, ma che è sempre stato considerato in primo luogo, più che un fratello maggiore, stanti le differenze storiche e sociali, un affezionatissimo cugino.
Da subito, il reinsediato Trump ha cominciato a dire enormità tali che i canadesi facevano fatica a prenderlo sul serio: che il Canada era un non senso della Storia, il confine che lo separa dagli Stati Uniti un'aberrazione da cancellare, che i canadesi avrebbero dovuto essere i primi a desiderare di trasformarsi nel 51° Stato degli Usa (per inciso, vasto da solo più di tutti gli altri cinquanta messi assieme...) e godere così degli immensi vantaggi di far parte della Più Grande America vagheggiata da The Donald in stile putiniano.
Quando sono arrivati anche i dazi sulle merci canadesi dirette negli States, accompagnati da esplicite minacce di sgonfiare l'economia del «caro vicino» come un vecchio pneumatico, a Ottawa hanno compreso che quella di Trump non era solo cattiva retorica. E hanno reagito imponendo contro-dazi per far capire che il Canada, malgrado le dimensioni molto inferiori della sua economia e della sua popolazione (circa un ottavo di quella Usa) non si sarebbe piegato. C'era ancora a capo del governo Justin Trudeau, un liberale di sinistra ormai talmente impopolare da doversi dimettere entro pochi giorni, e i sondaggi per le imminenti elezioni indicavano in Pierre Poilievre, un conservatore ammiratore di Trump, il sicuro trionfatore con quasi 25 punti di vantaggio sui liberali allo sbando.
Il miracolo che ha consentito alla sinistra canadese di vincere contro ogni pronostico per la quarta volta non lo ha fatto il pur qualificato Carney, che ha guidato la Banca d'Inghilterra ai tempi della durissima crisi del 2008: lo ha fatto Trump. Che è riuscito a far rinascere nei canadesi un patriottismo quasi dimenticato e l'orgoglio di non farsi maltrattare come una Groenlandia qualsiasi. Anche se Poilievre che ha poi subito l'umiliazione di non essere rieletto in Parlamento - lo pregava in privato di tacere, Trump non ha capito che lo stava rovinando e ha continuato a interferire fino all'ultimo, dando modo a Carney di presentarsi come l'orgoglioso difensore della patria minacciata.
Ma il vero danno Trump non lo ha fatto alla destra canadese. Lo sta facendo al suo Paese. Appena proclamato vincitore, Carney ha messo in guardia i compatrioti «dal dimenticare il tradimento degli americani»: è questo il frutto avvelenato che Trump semina in giro per il mondo, la sfiducia negli Stati Uniti, ormai percepiti come inaffidabili bulli da cui bisogna imparare a difendersi.
Il Canada, ancora incredulo, ma determinato a destreggiarsi in un mondo che non sarà più quello cui tutti noi eravamo abituati, punterà ora a rafforzare i suoi legami con l'Europa: sono alle viste nuovi accordi economici e una Nato se questo vorrà il confuso isolazionista Trump senza gli Usa.
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