Dopo la Caporetto a Nord-Est i falchi in pressing su Putin. Mosca verso la guerra totale

Ora è chiaro, dopo la Caporetto del fronte Nord-Orientale a Mosca nulla è come prima

Dopo la Caporetto a Nord-Est i falchi in pressing su Putin. Mosca verso la guerra totale

Ora è chiaro, dopo la Caporetto del fronte Nord-Orientale a Mosca nulla è come prima. Da sabato al Cremlino si gioca una partita politico-militare da cui dipende non solo l'esito del conflitto, ma anche il destino politico ed esistenziale della Russia. E, indirettamente, il futuro dell'Ucraina e dei suoi alleati. Il «grillo parlante» pronto a farcelo comprendere è l'ambizioso leader ceceno Ramzan Kadyrov trasformatosi da riverente alleato di Vladimir Putin in severo censore dei suoi comandanti militari. «Sono stati commessi degli errori. E penso - ammoniva ieri il leader ceceno - che se ne trarranno delle conclusioni. Se oggi o domani non ci saranno cambiamenti nella strategia dovrò andare al ministero della Difesa e alla dirigenza del Paese per spiegare loro la situazione».

Parole che sembrano quasi un «pronunciamento», ma vanno lette ricordando la propensione all'astuzia e al tatticismo di un leader ceceno evidentemente deciso a schierarsi con chi al Cremlino preme per archiviare l'Operazione Speciale e spingere Putin verso una guerra a tutto campo. Secondo i sostenitori di questa svolta radicale il maquillage strategico-politico di un'Operazione Speciale studiata per risparmiare all'opinione pubblica l'orrore della guerra ha fatto il suo tempo. E va subito rimpiazzato da strategie che non prevedano il risparmio di uomini e mezzi. La batosta subita da Kharkiv in giù è, come già lo fu l'attentato costato la vita a Darya Dugin, il miglior argomento di chi considera un suicidio strategico schierare «solo» 130mila uomini su un fronte di 1.300 chilometri. Ma non solo.

In queste ore sui blog di analisi militare ospitati da Telegram si moltiplicano i commenti di chi denuncia l'apatia dei comandanti militari colpevoli di non aver «visto» o, peggio, aver assistito inerti alla preparazione dell'offensiva militare ucraina. Canali come «Grey Zone» invitano persino a considerare «la differenza tra il ministero della Difesa e i contractor del gruppo Wagner» e domandarsi perché nella compagnia di ventura in prima linea nel Donbass si distinguano «ragazzi soldati e ufficiali che non hanno mai fatto carriera nelle stanze del ministero». E non a caso il nome di Yevgeny Prigozhin, demiurgo del gruppo mercenario, viene contrapposto all'inerzia di ministri e generali. In tutto questo la propensione alla guerra totale sembra attecchire anche tra quell'opinione pubblica a cui si voleva risparmiare una perdita di figli e familiari conseguenza di una chiamata alle armi generalizzata. Un sentimento evidente nell'indignazione di chi ricorda come l'offensiva ucraina sia avvenuta mentre le tv diffondevano le immagini rassicuranti dei festeggiamenti per l'inaugurazione di una nuova gigantesca ruota panoramica nel cuore di Mosca.

In questo clima la sintonia del presidente con i sostenitori di scelte radicali sembra quasi obbligata. E non soltanto perché Putin ha appena firmato un decreto per l'estensione della leva. A febbraio l'intervento in Ucraina venne deciso nella convinzione che solo il mantenimento dell'influenza russa sul Paese avrebbe evitato una piena egemonia statunitense. Una sconfitta, o una mancata vittoria, non rientrano dunque tra le opzioni accettabili. Proprio per questo la tesi di chi pretende una guerra a tutto campo sembra inevitabilmente preponderante.

Ma questo significa che il conflitto terminerà solo quando l'Ucraina o la Russia saranno irrimediabilmente in ginocchio. E che da qui ai prossimi mesi non solo la Russia e l'Ucraina, ma tutta l'Europa dovrà fare i conti con i rischio di una pericolosa e inarrestabile escalation.

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