In carcere a 94 anni per vecchi reati fiscali

In serata il magistrato di sorveglianza gli assegna i domiciliari dopo l'appello del Garante ("inumano")

In carcere a 94 anni per vecchi reati fiscali
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Si aspettava una buona notizia e la buona notizia arriva finalmente al termine di una lunga giornata: R. C. lascia il carcere. E va ai domiciliari a scontare una condanna definitiva a 4 anni e 8 mesi per bancarotta fraudolenta. Tutto strideva: l'uomo, classe 1931, si avvia verso il novantaquattresimo compleanno ed era forse il detenuto più vecchio d'Italia. Le sue condizioni di salute sono discrete, pur con i vistosi acciacchi dell'età, e questo era bastato al giudice di sorveglianza per allungare i tempi di un'eventuale, probabile revisione della sua posizione. Gli aveva dato appuntamento in udienza collegiale il primo luglio, ma la pressione mediatica ha fatto saltare il tappo prima.

«Sono venuti a prenderlo a casa giovedì scorso - racconta al Giornale il figlio - poi l'hanno portato nel carcere fiorentino di Sollicciano, dove è rimasto quasi una settimana in una cella con altri quattro detenuti. Un bagno in cinque, le finestre sempre aperte perché fa molto caldo, pochissimo spazio. Ho visto papà domenica e faceva molta fatica, ieri però la situazione era peggiorata e mi pareva spaesato».

Ci si può chiedere come mai nell'Italia delle carceri sovraffollate si metta dietro le sbarre un signore quasi centenario, incensurato, condannato alla fine di un processo assai controverso per fatti di quindici-venti anni fa. La legge offre agli ultra settantenni un percorso di espiazione della pena più soft, in clinica o ai domiciliari. Ma naturalmente ci vuole un'istanza che deve essere vagliata e questo non è mai automatico. In linea generale, spiegano gli esperti, il condannato va in carcere, poi la sua domanda viene esaminata e di solito accolta. Il problema è il tempo che passa, fra piccole privazioni e grandi umiliazioni. Ancora di più quando l'estate si affaccia implacabile e rende più difficile la convivenza già difficile.

«Formalmente - spiega Antonio Di Pietro, trent'anni fa motore di Mani pulite e oggi avvocato - il giudice ha ragione, ma sostanzialmente davanti all'età assai avanzata si poteva cercare una soluzione più ragionevole e di buonsenso». Invece si è scelto di non seguire la linea dell'urgenza, ma poi qualcosa ha fatto cambiare idea alla magistratura fiorentina. R. C. andrà a casa. «Io - aggiunge il figlio che chiede almeno per ora l'anonimato - speravo che ci fosse un qualche intervento, così da sbloccare al più presto una situazione obiettivamente inaccettabile per tutti. E la soluzione é arrivata».

R.C. era un imprenditore, nel campo dell'editoria. Poi l'azienda saltò. E dopo un lunghissimo iter si è giunti al verdetto finale. E alla coda a Sollicciano che solleva molti interrogativi.

«Ci sono stati casi di ultraottantenni in carcere - conclude Di Pietro - ma si tratta quasi sempre di mafiosi o comunque di delinquenti legati a agguerriti gruppi criminali». Qui il finale era segnato: o la detenzione a casa o in clinica.

«Per fortuna hanno fatto presto - è il grido di sollievo - ogni giorno che passava papà appariva sempre più imbambolato e affaticato. Ogni due o tre ore doveva andare in bagno e questo creava problemi con i compagni di cella che peraltro lo hanno trattato con il massimo rispetto». Ora non ci sarà più bisogno della loro umanità.

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