I comunisti erano i nemici e noi li abbiamo sconfitti per difendere una società libera e liberale, ma erano preparati, erano competenti: tutt'altra cosa rispetto ai Cinque Stelle che non sanno quello che dicono, né quel che fanno. Questo è stato il passaggio più sorprendente del discorso tenuto ieri da Silvio Berlusconi all'Eur di Roma. Ed è riecheggiata, fra le sue parole, una parola certamente sconosciuta alle ultime generazioni: le Frattocchie. Ovvero, la scuola quadri «Palmiro Togliatti», che fino al 1950 fu intitolata al sovietico Zdanov, in cui si formavano i dirigenti del partito comunista. Berlusconi ha mostrato rispetto per quella gente, ma senza alcuna nostalgia: ha voluto però tracciare un confine netto fra chi sa di che cosa parla e chi parla a vanvera usando un linguaggio sconnesso dalla realtà. I comunisti che uscivano dalle Frattocchie (una villa vicino a un convento) sapevano di legge, regolamenti, storia, filosofia marxista, economia, tecnica dell'amministrazione e i regolamenti delle amministrazioni. Era, quella scuola, più simile alla Normale di Pisa (dove studiò Massimo D'Alema) che a una assemblea permanente. Quando scoppiò la rivoluzione vociante del Sessantotto, i «quadri» del partito storsero il naso. I sessantottini per loro erano solo orecchianti che avevano letto frettolosamente senza sapere veramente nulla. Il Partito, allora, si irrigidì, anche se poi prevalse «la linea entrista» in cui assorbire i leader dei contestatori. Erano tempi in cui il partito non discuteva con nessuno, in cui i lavori del Comitato centrale erano segreti e ridotti alle relazioni ufficiali senza dibattito, ma faceva stampare sull'Unità uno strumento politico in cui si nascondevano anatemi e concessioni un editoriale che desse «la linea».
Togliatti fu il rettore e l'inventore di quella scuola, come anche della casa editrice Einaudi che era il punto di sbocco degli intellettuali, dei loro romanzi e riflessioni con un certo margine di flessibilità. Togliatti era un mostro di cultura e un mostro cinismo politico: parlava francese, russo, tedesco, latino e greco, faceva impiccare i comunisti scomodi in Polonia ed eliminare gli anarchici antifascisti durante la guerra di Spagna, era terzo o quarto il linea di successione a Stalin (che tuttavia temeva) il quale gli dette «la linea» quando lo rispedì da Mosca in Italia la decantata «svolta» di Salerno per una alleanza con i cattolici e le destre così da alleggerire la pressione militare negli ultimi spasimi della guerra. Berlusconi ha raccontato di aver potuto consultare i libri di testo delle Frattocchie e dunque sa bene di che cosa parla.
Ed è un fatto ormai consacrato alla Storia di questo Paese: quando «scese in campo» (espressione berlusconiana pura) il fondatore di Forza Italia scongiurò la presa di potere dell'ex Pci (diventato PdS) già avallata dagli americani con l'operazione «Clean Hands», Mani Pulite con cui si sarebbe dovuta liquidare la classe dirigente del dopoguerra centrista, per sostituirla con quella delle Frattocchie e di Botteghe Oscure. Le Botteghe Oscure era l'indirizzo storico del Pci, in un palazzo che fu necessario vendere riducendosi al Nazareno, in seguito al crollo sovietico e con la fine del foraggiamento di Mosca. Berlusconi, a nome dell'Italia liberale, non rimpiange quel nemico ma gli riconosce una qualità indiscussa: la competenza.
Questa competenza era conquistata attraverso studi severi e un «cursus honorum» per cui non si diventava ministro provenendo dai servizi allo stadio, come nel caso di Di Maio, ma dopo essersi fatti le ossa nei Consigli comunali, provinciali e regionali e amministrativi delle aziende pubbliche. La loro era una classe dirigente di un progetto rovinoso e sbagliato, certo, ma era una vera classe dirigente con cui si poteva e si doveva discutere.
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