
Nello Musumeci, 70 anni, siciliano, ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, è il gran regista del funerale di Papa Francesco. Ieri pomeriggio ha ricevuto i complimenti di Giorgia Meloni, del presidente del Senato La Russa e del ministro Tajani per l'organizzazione impeccabile
Ministro, una cerimonia molto commovente. Nessun imprevisto?
«A tumulazione avvenuta, mi sono pubblicamente congratulato con il capo dipartimento della Protezione civile, il prefetto Fabio Ciciliano, che ha svolto il ruolo di commissario per la mobilità, l'accoglienza e l'assistenza alla popolazione. E con lui, il prefetto ed il questore di Roma, tutte le forze dell'ordine, i tantissimi volontari e quanti hanno reso possibile lo svolgimento di un evento, così straordinario e complesso, in maniera serena ed ordinata. E quando in un evento come questo non si verificano imprevisti, il pathos, la meditazione e il contesto rendono tutto più commovente».
È stato molto difficile il lavoro di preparazione ?
«Non sono eventi che affronti ogni settimana. È chiaro, quindi, che serve un lavoro preparatorio per le singole competenze, e alla fine una pianificazione generale. È una macchina complessa, quella dei grandi eventi, che deve funzionare alla perfezione. Ogni cosa va prevista, nulla va tralasciato. Il risultato è sotto gli occhi del mondo intero, data la straordinarietà dell'evento, complice la diffusa popolarità di Papa Francesco».
Lei ha temuto che ci potesse essere qualche incidente?
«Gli incidenti, accidentali o dolosi, vanno sempre previsti e, al tempo stesso, pianificate le iniziative per contenerne gli effetti. Noi lavoriamo sempre immaginando lo scenario peggiore, non quello che ti piacerebbe avere. Per fortuna, in questi cinque giorni di lutto non si sono registrati incidenti».
C'era il timore di un attacco terrorista?
«Con la presenza di decine di capi di Stato e di governo e nel cuore della cristianità, può succedere di tutto».
Non era troppo rischioso il corteo funebre?
«È stato certo preferito il percorso più razionale, anche dal punto di vista della sicurezza. Senza lasciare nulla al caso».
Quante persone sono state impegnate nell'organizzazione e poi nel servizio d'ordine?
«Circa quattromila persone, ad esclusione delle unità preposte alla sicurezza e all'ordine pubblico. Se preferisce, posso darle il dettaglio: 170 unità il personale del dipartimento di Protezione civile; 1.779 dalle organizzazioni di volontariato; 1.237 gli addetti alla sanità; 731 dalle colonne mobili regionali».
È vero che avete usato la lingua francese per impedire che nell'ordine alfabetico la delegazione Usa finisse vicino alla delegazione ucraina?
«Ma quando mai! Le delegazioni erano sistemate in ordine alfabetico francese, che è la lingua della diplomazia. E poi, mi sento di poter dire che la sacralità del rito sarebbe bastata a neutralizzare ogni eventuale contrasto di natura politica e diplomatica tra le delegazioni»
È vero che dai premier e capi di Stato avete ricevuto moltissime richieste particolari e che le avete respinte tutte?
«In circostanze come queste si tende sempre a mettere a proprio agio gli ospiti, tenendo conto però del rispetto di un protocollo assai rigido».
Lei è cattolico? È credente?
«Si, ho il dono della fede e sono cattolico. Ma ho sempre rispettato tutte le minoranze religiose. Le confesso che ci fu un momento della mia vita in cui stavo per perdere la fede. Quando ho perso mio figlio Giuseppe: aveva trent'anni, stroncato a casa da un infarto fulminante, mentre si preparava ad uscire. In quei lunghi, interminabili secondi ho invocato la misericordia di Dio. Ma Dio non mi ha risposto. Solo le parole del mio vescovo, uno straordinario frate cappuccino, mi hanno nel tempo restituito la serenità dei credenti».
Facciamo un passo indietro. Le polemiche sul 25 Aprile non hanno turbato il lutto nazionale. Il suo appello alla sobrietà è stato in larghissima parte accolto.
«Il mio auspicio alla sobrietà per tutte le iniziative promosse nei cinque giorni di lutto - e non solo per il 25 aprile - ha confermato quel che era solo un sospetto: certa sinistra resta antropologicamente ostile ad ogni forma di sobrietà. L'eccesso, l'urlo, l'ostentazione, la violenza verbale, il disordine, persino lo scontro fisico appartengono al codice genetico di una parte della cultura post-comunista. Ed ogni pretesto è buono per delegittimare l'avversario, quasi sempre considerato un nemico. Si è gridato allo scandalo, come se con quell'innocuo aggettivo la destra al governo avesse tentato di depotenziare la celebrazione della Liberazione. Come se quella ricorrenza appartenesse solo alla sinistra e non a tutti gli italiani, come accade da qualche tempo, sopiti ormai gli odi ed i rancori della generazione che partecipò alla guerra civile. Alla fine, nella giornata del 25 aprile è andata molto bene. E il merito è di tutti. Gli unici incidenti sono avvenuti tra i partigiani dell'Anpi e i manifestanti del Pd: che tristezza!».
Cosa è successo a Roma, venerdì, con quell'allarme ai telefoni che ha spaventato 3 milioni di persone?
«Nulla di particolare. L'ininterrotto e copioso flusso di fedeli non avrebbe consentito in tempo la chiusura della Basilica, per facilitare le conseguenti operazioni sulla bara.
Non potendo avvisare le decine di migliaia di persone già in piazza e quelle che stavano per recarvisi, il capo dipartimento, d'intesa con prefetto e questore, hanno dovuto fare ricorso all'IT-Alert. Non c'era altro metodo per raggiungere tutti in brevissimo tempo ed evitare l'inutile corsa verso la piazza. Parliamo di decine di migliaia di fedeli».
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