Cronache

Chat false e video sparito. La procura di Brescia indaga i pm del caso Eni

Nel mirino le toghe De Pasquale e Spadaro: avrebbero omesso prove utili alla difesa

Chat false e video sparito. La procura di Brescia indaga i pm del caso Eni

Indagati dalla procura di Brescia per rifiuto e omissione d'atti d'ufficio. Mercoledì il siluro arrivato contro la procura di Milano con le motivazioni delle sentenza di assoluzione nel processo sulla presunta tangente pagata da Eni in Nigeria, che rimarcava come «incomprensibile» la scelta «del pubblico ministero di non depositare fra gli atti del procedimento» il video girato da Piero Amara che provava l'intento diffamatorio del grande accusatore Armanna. Ieri la notizia che i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla procura di Brescia.

Una nuova grana per le toghe meneghine. A innescare l'inchiesta non sarebbe però stata la clamorosa censura subita dalle toghe per aver occultato il video, poiché l'indagine sarebbe aperta già dalla fine di maggio, ben prima del deposito delle motivazioni. Al centro del fascicolo ci sarebbe «la questione delle prove all'interno del processo», ma riguarderebbe principalmente altre carte e documenti che erano confluiti nel fascicolo sul falso complotto contro De Scalzi - quello in cui Amara evocava l'esistenza della «Loggia Ungheria» - affidato ai pm Paolo Storari e Laura Pedio. Proprio un secondo interrogatorio a Brescia di Storari (che per aver passato quei verbali a Davigo è stato indagato per rivelazione di segreto d'ufficio dalla procura di Roma, che ha poi passato il fascicolo a Brescia), ascoltato, dopo il 19, anche il 28 maggio dai colleghi bresciani sul falso complotto e sui contrasti con i vertici dell'ufficio milanese che avrebbero secondo la toga «insabbiato» le rivelazioni di Amara, avrebbe provocato l'iscrizione nel registro degli indagati di De Pasquale e Spadaro.

Nelle carte ricevute da Storari e Pedio, infatti, vi sarebbero stati documenti in grado di alleggerire la posizione di alcuni indagati nel processo Eni-Nigeria che sarebbero però stati ignorati. Si tratterebbe, in particolare, di chat «costruite ad arte» da Vincenzo Armanna con un testimone compiacente con accuse contro altri imputati, finite nel processo Eni-Nigeria. Nel quale, però, non era invece finita la prova del pagamento del testimone da parte di Armanna, ritrovata nello smartphone di quest'ultimo da Storari e trasmessa a De Pasquale e Spadaro.

Quanto al video, i magistrati bresciani ne hanno chiesto copia al tribunale di Milano. Era stato girato di nascosto il 28 luglio del 2014 da Amara durante un incontro con Armanna. Nel filmato Armanna invoca la rimozione di alcuni manager sui quali, spiega «non escluderei che arrivi un avviso di garanzia... mi adopero perché gli arrivi». Toni e parole che proverebbero l'intenzione di Armanna di «ricattare i vertici» della società dalla quale era stato licenziato un anno prima. L'esistenza del video venne alla luce a luglio 2019 grazie a Giuseppe Fornari, difensore del manager Eni Roberto Casula, che la scovò tra gli atti di un altro procedimento e di un'altra procura, chiedendo poi di inserirlo nel fascicolo (mentre era già agli atti dell'indagine di Storari e Pedio). Prova a ridimensionare il caso il procuratore di Milano, Francesco Greco. L'indagine bresciana è un «atto dovuto che merita rispetto istituzionale», come «l'assoluta professionalità dei colleghi», spiega.

Aggiungendo di aver consegnato «alla procura di Brescia una nota, inviata a questo procuratore il 5 marzo 2021, nella quale i colleghi esprimevano, in modo dettagliato, la loro valutazione critica in ordine al materiale ricevuto, peraltro informale ed oggetto di indagini tuttora in corso».

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