Gli chef francesi al governo: "La gastronomia è in pericolo. Servono aiuti e meno tasse"

Appello firmato da Ducasse e soci per evitare la chiusura di migliaia di ristoranti. E in Italia?

Gli chef francesi al governo: "La gastronomia è in pericolo. Servono aiuti e meno tasse"
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Mentre l'Italia insegue il sogno di vedere riconosciuta la propria cucina come patrimonio dell'umanità, in Francia, dove la gastronomia è tutelata dall'Unesco dal 2010, gli chef si rivolgono al governo per un aiuto concreto. Un segnale di allarme per il Paese che ha inventato i codici dell'alta cucina ma anche un monito per l'Italia: se pure la cucina nostrana dovesse raggiungere il tanto agognato attestato, questo non risolverebbe d'incanto i tanti problemi di un settore fondamentale del made in Italy.

L'appello dei cuochi transalpini è comparso qualche giorno fa sul quotidiano Les Echos ed è stato lanciato nel think tank della gastronomia "Le Passe" animato dal giornalista specializzato Laurent Guez, uno strumento che in Italia non esiste: si tratta di un osservatorio permanente sul settore a cui partecipano i migliori chef del Paese, da Yannick Alléno a Sébastien Bras, da Mauro Colagreco a Hélène Darroze, da Alain Ducasse ad Anne-Sophie Pic, da Marcel Ravin a César Troisgros. Nel pacchetto c'è anche l'italiano Fabrizio Ferrara dell'amatissima Osteria Ferrara nel quartiere Opéra-Bastille di Parigi.

Secondo i crandi chef, denominati i "cinquanta" anche se sono 67, la gastronomia francese è "strumento primordiale del nostro soft power, pilastro della nostra cultura ed emblema delle nostre regioni", e deve essere riconosciuta come eccezione culturale "al pari della musica o del cinema". Davanti all'aumento delle spese e al taglio di alcuni aiuti pubblici, gli chef transalpini denunciano condizioni sempre più difficili per i ristoratori e temono la chiusura di numerosi locali indipendenti ai quattro angoli della Francia. Nell'appello si fa un vero e proprio inno all'alta ristorazione. "Quale altro settore - si chiedono i 67 - impiega tanta mano d'opera per servire gli ospiti con una proporzione che spesso sfiora un dipendente per cliente? Quale altra professione produce una tale raffinatezza con margini così scarsi?". Eppure "la gastronomia non è un lusso ma un nostro bene comune, iscritto dal 2010 al patrimonio culturale immateriale dell'Unesco. Non si tratta di uno snobismo ma di un omaggio all'eccellenza. Un fiore all'occhiello che contribuisce più di ogni altro all'immagine della Francia nel mondo: quasi un turista su due arriva nell'Esagono per la cucina".

Eppure sugli chef e sui ristoratori si accumulano i gravami "normativi, amministrativi, sociali e fiscali", dal tetto massimo al bonus Macron, una misura che ha permesso ai ristoratori di retribuire meglio i dipendenti ai dubbi sui sussidi all'apprendistato fino alla gestione delle tasse sulle mance, Ducasse (nella foto) e compagnia chiedono alle autorità pubbliche di prevedere un regime fiscale più favorevole per gli chef difensori degli artigiani, dei produttori e degli orticoltori, ma anche datori di lavoro di talenti, rispetto a quello riservato a industriali e ristoratori che acquistano prodotti pronti al consumo.

Resta da chiederci se anche in Italia, dove il settore della ristorazione è sottoposto a una grave forma di stress burocratico, economico e anche culturale, non sarebbe il caso di aprire un dibattito collettivo sul modo di sostenere un settore così importante per la nostra identità. Da questo punto di vista il riconoscimento da parte dell'Unesco della nostra cucina va inteso non come un obiettivo ma come un primo passo verso una valorizzazione e un aiuto concreto da parte del governo in favore della ristorazione di qualità. Quando parliamo con gli chef che investono i propri soldi, le proprie competenze e molto del proprio tempo per far da mangiare sempre meglio e in modo più sostenibile li troviamo abbastanza indifferenti al percorso della candidatura italiana, vista come qualcosa di simbolico ma con pochi vantaggi pratici. Preferirebbero tutti maggiori attenzioni da parte del governo in merito al regime fiscale, alle agevolazioni alle assunzioni, alla detassazione delle mance.

Vorrebbero soprattutto essere sostenuti nello sforzo comunicativo per far capire che i prezzi alti nei ristoranti fine dining non sono il frutto di una scelta speculativa ma una necessità per mantenere economicamente sostenibile un settore che può vendere eccellenza solo acquistando eccellenza. E le eccellenze costano, Unesco o non Unesco.

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