"Lo chef invecchia bene. Sono europeo e patriota"

Giorgio Locatelli ha fatto amare l'alta cucina italiana a Londra. "La mia vita disperata da Vergiate a Masterchef"

"Lo chef invecchia bene. Sono europeo e patriota"

"Portaci due fucking caffè". Giorgio Locatelli è seduto su una regale poltrona nel suo camerino durante una pausa delle registrazioni della prossima edizione di Masterchef, a Milano. E l'ordine, è rivolto a Antonino Cannavacciuolo, che ha appena fatto irruzione per spettegolare su un episodio avvenuto durante la registrazione del giorno prima.

I caffè arrivano, possiamo incominciare.

Giorgio, come stai ora che hai chiuso la Locanda Locatelli a Londra?

"Mi sembra di essere rinato, ho tanti progetti. Stare 23 anni nello stesso ristorante ti limita un pochino. Mi ha colpito l'affetto dei clienti. In tanti mi hanno chiamato per dirmi: E ora dove vado a festeggiare il mio anniversario?".

Però ora hai un ristorante alla National Gallery...

"Venivamo da una destination, ora siamo in un service. Ho dovuto realizzare un menu accessibile. E semplificare è sempre molto più difficile che elaborare".

Non sei più proprietario. Ti manca?

"È una liberazione non avere più la responsabilità del personale".

Non sarai più chef patròn?

"Mai dire mai".

Nel caso, sempre a Londra?

"No, nel Sud, in Italia o in Grecia. Sono stufo del grigio di Londra anche se è una città che mi ha dato moltissimo".

Hai 62 anni. Ti senti vecchio?

"Un tempo avevo paura, dicevo a mia moglie: che cazzo faccio se divento vecchio e non ho un mio ristorante? Ma la verità è che in un ristorante diventi vecchio bene, sei sempre esposto ai giovani e poi sei come un attore che va in scena due volte al giorno".

Tu vieni da una famiglia di ristoratori.

"Sono cresciuto nel ristorante dei miei zii, poi la prima estate della scuola alberghiera andai in un locale di Varese e scoprii che c'era un mondo oltre la mia famiglia. Mia zia si arrabbiò molto, mi dette del traditore: Tu devi stare a casa. Ma io lì ero pagato e col primo stipendio vendetti il Garelli e presi la Vespa".

Che ragazzo eri?

"Uno spirito libero, un ribelle. Mio fratello più grande era più ligio".

Quando è arrivata l'Inghilterra nella tua vita?

"Il proprietario del ristorante dove lavoravo aveva una moglie inglese ed era stato sull'isola di Jersey, sentivi parlare solo di 'sta Londra. Ho anticipato il militare a 18 anni e sono andato. Però il mio curriculum era scarno e mi fu suggerito di andarmi a fare le ossa in Svizzera. Mi ritrovai in questo albergo a Zurigo con Norbert Niederkofler (chef tristellato altoatesino, ndr) a fare io i primi, lui i secondi, gli antipasti assieme e litigavamo".

E poi il Savoy...

"Era il posto dove volevo andare, da quando avevo visto la valigia di un vecchio cameriere, si chiamava Pisquier. C'erano tutti gli stemmi, Zermatt, St Moritz, e al centro c'era questo, bellissimo, del Savoy, solenne. Un sogno".

Quindi, tre anni di Parigi...

"Ne uscii distrutto, ero magrissimo, fumavo tantissimo, non mangiavo, non ero più nemmeno tanto convinto di voler fare il cuoco. Finii in una pizzeria ad Argiate. Poi squillò il telefono. Cercavano un cuoco a Londra, c'era un appartamento sopra il ristorante, che potevo tenere. Non ho chiesto dei soldi ma solo: il menu lo faccio io? Mi hanno detto di sì. E il giorno dopo ero lì".

Che ristorante era?

"L'Olivo. Lavoravo con un sardo. Eravamo anche un po' disperati. La prima recensione non fu positiva, poi il posto prese, arrivarono due o tre articoli buoni, qualche visita di persone altolocate. Se il servizio non era pronto andavamo noi a servire e spiegavamo il piatto, che era una cosa nuova. Poi è nato lo Zafferano. Che dopo tre anni è stato il primo ristorante indipendente italiano a prendere la stella".

Felice?

"Avevamo successo, ma la situazione finanziaria era un po' complicata, quattro soci al 25 per cento, c'era anche Gordon Ramsay. Alla fine gli altri hanno venduto a un socio silenzioso, che si è trovato in maggioranza. Me ne sono andato. E ho deciso che non sarei mai più stato in società con qualcun altro. Ci ho rimesso sette anni. Tutto il valore della mia quota".

Però poi è arrivata la Locanda.

"Abbiamo avuto il culo che ogni tanto qualche giornalista è arrivato e c'era Gwyneth Paltrow, c'era Madonna. Riuscivamo a far sentire tutti a casa, avevamo un servizio quasi invisibile. Se volevi parlare con tua moglie nessuno ti rompeva le scatole, se eri stufo di tua moglie potevi parlare con noi. Ma il successo della Locanda fu anche merito di mia moglie Plaxy".

In che modo?

"Io avevo ancora questa scimmietta della cucina francese e lei mi disse: guarda, è il momento della cucina italiana, devi esserne fiero. Però devi renderla internazionale, basta con i soli camerieri italiani. Io ero andato avanti con i miei immigratelli...".

E le desti retta?

"Per forza, dovevo andarci a letto tutte le sere... Ma lei mi aiutò a riconquistare il self respect, cosa non facile dopo trent'anni a sentirti dire che sei un coglione. Lei veniva da un altro business ed era sfacciatissima. E chi se ne fotte della Michelin, mi diceva. E aveva ragione, forse il 5 per cento dei nostri clienti sapeva che avevamo la stella".

Che rapporto hai con i clienti?

"Il cliente va lasciato libero, quando ci vuole più tempo a spiegare un piatto che a mangiarlo c'è un fucking problema".

Che differenza c'è tra il cliente inglese e quello italiano?

"Che il cliente inglese ti lascia la mancia, quello italiano mai" (ride).

Ti senti più inglese in Italia o più italiano in Inghilterra?

"So che suona molto boomer, ma io mi sento europeo, ero a Berlino quando buttammo giù il muro. Sono un europeo e un patriota, mangerei tutta la vita italiano".

Cos'è l'avanguardia in cucina?

"Cercare di stupire il cliente senza scioccarlo. Lasciamo lo choc alla cucina del Nord, loro vivono nel grigiore. Noi viviamo nel colore, non ne abbiamo bisogno".

E la tv?

"Sento un grande senso di responsabilità verso i giovani, questo è uno show ma tanti giovani sono ispirati da noi. Dobbiamo dare l'idea di una professione un po' più normale, prima fare lo chef era un lavoro da matti. E poi la gente mangia tutti i giorni e la tv sostituisce il passaggio delle tradizioni gastronomiche che c'era nella vecchia società matriarcale e ora non c'è più- E poi..."

E poi?

"Un cuoco bravo anche col ristorante pieno può trasmettere il suo pensiero a 100, 200 persone a sera, in tv parli a milioni di persone".

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