Chi vince non cambia (magari con lo Champagne)

Qui la tradizione è intoccabile. Del resto la pizza nacque a Napoli, fritta ('a pizzella) o cotta al forno, di solito mangiata «a portafoglio», ovvero in piedi

Chi vince non cambia (magari con lo Champagne)

Qui la tradizione è intoccabile. Del resto la pizza nacque a Napoli, fritta ('a pizzella) o cotta al forno, di solito mangiata «a portafoglio», ovvero in piedi, magari camminando, piegando il disco in quattro e formando una specie di crêpe bollente e colante un liquido biancastro. Mangiarla a tavola seduti è già un tantino decadente. Il rituale è questo: il locale è spoglio e ha il suo altare nell'enorme forno a legna attorno a cui officia un pizzaiolo svelto di mano e di parola. Tre o quattro tipi (la più classica, si badi, non è la margherita ma la ancor più arcaica marinara), da bere coca o peroncino, alla fine al massimo un limoncello. Tempo totale una ventina di minuti, spesa media 8 o 9 euro. E 'a nuttata passa ca' panza chiena.

La pizza napoletana è per tradizione gommosa e sa di lievito, con un condimento vagamente fangoso e non ha la mozzarella ché rilascia troppa acqua ma il fior di latte.

I locali top sono Sorbillo (via dei Tribunali, 32), Starita (via Materdei, 27), Da Michele (via Sersale, 1), La Notizia (due sedi entrambe in via Caravaggio), Guglielmo Vuolo (via Brin, 69), Da Attilio alla Pignasecca (via Pignasecca, 17), 50 Kalò (Piazza Sannazaro, 201b). Ma la star dei pizzaioli è casertano: si chiama Franco Pepe (nella foto). La sua pizzeria, Pepe in Grani a Caiazzo, coniuga tradizione e innovazione: per dire, un calice di Champagne ci sta, no?

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