Cronache

Cinque ex premier anti-Boris. "La sua Brexit sarà un'onta"

Major, Brown, Blair, Cameron e May attaccano il primo ministro: "Tradire i patti con l'Ue segnerà la nostra storia"

Cinque ex premier anti-Boris. "La sua Brexit sarà un'onta"

Theresa May, David Cameron, Gordon Brown, Tony Blair, John Major. I primi ministri che hanno guidato il Regno Unito dal 1990 al 2019, gli ultimi 30 anni di storia politica britannica, esponenti di entrambi i maggiori partiti politici del Paese, i conservatori e i labouristi, uniti nella condanna dell'ultima scommessa di Boris Johnson: ripudiare il trattato di uscita dall'Ue, la cui intesa fu raggiunta con Bruxelles meno di 11 mesi fa e riscrivere le norme su obblighi doganali e aiuti di stato che riguardano l'Irlanda del Nord.

L'ultimo in ordine di tempo a prendere la parola per condannare la legge sul Mercato Interno in corso di discussione in parlamento è stato David Cameron. Ho dei dubbi su quanto è stato proposto, ha dichiarato alla Bbc, affermando che rompere un accordo internazionale dovrebbe essere l'ultima risorsa cui attingere. Bisogna tenere a mente, ha continuato, che si sta negoziando un accordo con l'Ue su quale debba essere la futura relazione tra i due blocchi. Come dire, se si vuole trovare un compromesso che senso ha spingersi così avanti nello scontro con Bruxelles? May, prima di Cameron, è intervenuta evidenziando il danno reputazionale cui va incontro il Regno se deciderà di non rispettare un trattato internazionale. Brown ha parlato di atto di autolesionismo da parte del governo, Blair e Major sono entrati nel dibattito con un intervento a 4 mani pubblicato sul Sunday Times: ciò che è proposto è «scioccante. Come può essere compatibile con il codice di condotta di ministri e dell'amministrazione dello Stato?». È stato in questi giorni spesso tirato in ballo il principio della rule of law, secondo cui tutti anche il governo sono vincolati al rispetto delle leggi. Nel Regno Unito, tuttavia, i trattati internazionali devono essere recepiti da una legge per essere efficaci e quindi possono, teoricamente, essere scavalcati da una legge in senso opposto: sempre di fonti dello stesso grado si tratta. E' quindi aperto il dibattito tra i commentatori se la strategia di Johnson sia in contraddizione con la rule of law. Ci sono tuttavia aspetti di diritto internazionale, di danno politico e di immagine che è difficile non vedere. Come ha dichiarato ieri Ed Milliban ai Comuni, durante il dibattito parlamentare in corso: «Mi congratulo con Johnson per aver unito i suoi 5 predecessori nel concordare che sta buttando nei rifiuti la reputazione di questo Paese». La legge è in discussione in questi giorni e il percorso parlamentare dovrebbe concludersi la prossima settimana. Un periodo non breve, durante il quale l'iniziale fronda interna conservatrice potrebbe trasformarsi in una protesta più consistente, soprattutto se esponenti di primo piano del partito si uniranno alla ribellione. Come Geoffrey Cox, a capo dell'avvocatura generale dello stato nel primo governo Johnson, che si è schierato contro il governo. E come Sajid Javid, ministro del tesoro fino a febbraio, che ieri sera si è aggiunto al coro delle critiche.

Al momento i dissidenti ammonterebbero a circa una ventina di persone, ancora troppo poche se confrontate con la maggioranza di 80 vantata dal governo: difficile pensare che la legge non venga approvata o possa venire emendata. Internamente dopo la disastrosa gestione covid, il salvataggio del consigliere Cummings, le frequenti retromarce politiche delle ultime settimane, a Johnson non rimane molto spazio e i margini di manovra futuri si fanno sempre più stretti.

Internazionalmente l'Ue ha dato tempo fino a fine mese per un ripensamento inglese, senza il quale non potrà esserci alcun accordo commerciale.

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