Coalizioni, vertici e verifiche. Berlino all'italiana

C'era una volta la Germania dei Volksparteien, i partiti di massa, i partiti "pigliatutto"

Coalizioni, vertici e verifiche. Berlino all'italiana

C'era una volta la Germania dei Volksparteien, i partiti di massa, i partiti «pigliatutto». Arrivavano dalla tradizione ottocentesca, si erano trasformati con il tempo in formidabili apparati per catturare consenso. Meno di 20 anni fa, alle elezioni del 2002, socialdemocratici e democristiani si erano divisi il 77% dei voti. In un sistema, come quello tedesco, che per evitare ogni tipo di rischio autoritario, è stato disegnato all'insegna di pesi e contrappesi, il bipartitismo imperfetto in salsa renana era un provvidenziale elemento di semplificazione: chi vinceva tra Spd e Cdu governava il Paese. Se gli mancava qualche voto andava a cercarlo tra i vassalli. Tutto molto chiaro, quasi scontato. Il modello dei partiti come sintesi di visioni complessive della società è andato in crisi ovunque, in Germania il declino è durato più a lungo che in altri Paesi. Prima sono arrivati i Verdi; con la caduta della Ddr la Linke, più di recente la destra di Alternative für Deutschland. Negli anni Settanta in Parlamento c'erano tre partiti, oggi sono sei e con il voto di domenica la cesura si è fatta più profonda.

In Italia l'espressione «governo di coalizione» è poco usata: se c'è un governo per forza c'è una coalizione. In Germania da qualche giorno non si parla d'altro. E le altre parole chiave sono frammentazione e polarizzazione. Non che Berlino sia diventata una capitale mediterranea e che certe cose accadono solo al di sotto di una certa latitudine. In Olanda alle ultime elezioni i partiti entrati in Parlamento sono 17, anche lì la trattativa tra forze diverse è diventata l'unica modalità d'azione della vita politica. Per chi vive a Sud delle Alpi c'è comunque qualcosa che suona familiare nel post elezioni tedesco. Con l'arrivo della necessità di coalizioni complesse la proverbiale stabilità teutonica sembra destinata a diventare un ricordo del passato. O almeno questo temono i tedeschi stessi. Herfried Münkler, docente emerito di Scienze politiche alla Humboldt Universität di Berlino, lo ha spiegato al Financial Times: «Una cosa è sicura: l'idea che avremo un altro Cancelliere destinato a governare per 16 anni è ormai inconcepibile». E anche il suo ruolo e i suoi poteri sono destinati a cambiare. Secondo Münkler ad acquistare peso e influenza sarà un organismo praticamente sconosciuto in Germania, se non a livello locale, il cosiddetto Comitato di coalizione, che riunisce i responsabili delle delegazioni dei diversi partiti nell'esecutivo. «Il Cancelliere finirà per essere semplicemente l'esecutore delle decisioni del Comitato». Qualcosa di mai visto a Berlino, e di ben noto a Roma dove la vita di ogni governo è scandita dai periodici vertici di maggioranza.

Non è un caso che sotto i riflettori della stampa tedesca ieri siano finiti soprattutto i due aghi della bilancia, il liberale Christian Lindner e la Verde Annalena Baerbock, in grado entrambi di dettare le condizioni per il nuovo governo. Nessuno ha ricordato Ghino di Tacco ma poco ci manca.

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