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Colpi bassi e veleni. Così l'opposizione ha gettato fango sul centrodestra

Una disperata campagna elettorale giocata tra bufale e dossier. Con sponda a Sanremo

Colpi bassi e veleni. Così l'opposizione ha gettato fango sul centrodestra

La macchina messa in moto da sinistra in campagna elettorale è solo un antipasto di quello che attende la maggioranza nei prossimi mesi o anni di governo. Un assedio quotidiano a caccia del minimo spiraglio per provare a colpire, nella speranza di affondare il governo Fdi-Lega-Fi il prima possibile. L'artiglieria prevede armi non convenzionali, colpi bassi, dossieraggi, retroscena inventati, bufale conclamate, tutto è permesso. Anche Sanremo utilizzato come tribuna politica a senso unico, magari non sposta voti ma fa gioco.

Le regionali sono un obiettivo secondario perché la partita è sempre stata considerata già segnata, sull'onda delle politiche di settembre, con una fioca speranza soltanto nel Lazio. E infatti la macchina ha concentrato il fuoco contro Francesco Rocca, il candidato del centrodestra, rivangando anche nel suo passato giovanile. Con un'operazione che l'avessero fatta i giornali di centrodestra si definirebbe character assassination, cioè distruzione della reputazione, o «macchina del fango», perché ha riesumato la vicenda di lui diciannovenne, una condanna per spaccio risalente a 38 anni fa («ero pieno di problemi e fragilità, ho pagato e ho imparato dagli errori»). Dopo la pista della fedina penale, la sinistra (non altrettanto occhiuta sul candidato Pd Alessio D'Amato, condannato per danno erariale) ha ingaggiato il fratello di Rocca per parlare male di lui. Poi, la storia della casa acquistata dall'ente pubblico. Quindi i fuochi di artificio finali: «Rocca è legato al clan del narcotraffico a Ostia e ha legami con la mafia», l'accusa - totalmente campata in aria - della candidata Pd Sara Battisti, poi costretta a scusarsi («Accuse offensive senza fondamento, rivolgo le mie scuse a Rocca»).

Un epilogo inquietante, ma prevedibile visto l'andazzo. La Regione Lazio è un sistema di potere e poltrone che il Pd gestisce da un decennio, perdere anche questo - dopo il governo nazionale - è una sciagura da scongiurare con qualsiasi mezzo.

Sulla Lombardia però la battaglia è veramente disperata. Allora Repubblica, non trovando sufficienti appigli nella realtà, se n'è inventato uno, attribuendo a Berlusconi - in prima pagina - l'intenzione di votare non Fontana, ma la Moratti. Notizia subito smentita, ma prontamente rilanciata dalla stessa Moratti con un video. Una triangolazione che il partito di Berlusconi ha definito una «polpetta avvelenata» su cui la candidata del Terzo polo «ha lasciato le sue impronte digitali» (tradotto: prima la Moratti passa la falsa notizia ai giornali e poi la commenta come se fosse vera). Non è la prima bufala scagliata contro la maggioranza (e non sarà l'ultima). Spettacolare quella sul sottosegretario Fazzolari, che avrebbe proposto di «insegnare a sparare nelle scuole». Notizia smentita da tutti i diretti interessati. Ma non solo, ci si è ricordati che fu il piddino Beppe Fioroni a segnalare, da ministro dell'Istruzione del governo Prodi, il tiro a segno come disciplina olimpica per i giochi studenteschi. Vabbè, tutto è lecito nella battaglia, anche la fantasia, à la guerre comme à la guerre. L'allarme fascismo? Quello vale sempre.

La foto del viceministro Bignami ventinovenne con la svastica, all'addio al celibato 18 anni fa, va tenuta nel cassetto e tirata fuori all'occorrenza (ci ha pensato Fedez all'Ariston). Il busto di Mussolini a casa La Russa va ricordato con costanza. Anche se l'allarme fascismo in Lombardia non ha dato i frutti sperati, l'inchiesta sulla «lobby nera» e l'eurodeputato di Fdi Carlo Fidanza, esplosa con il video di Fanpage andato in onda alla vigilia delle amministrative del 2021, è finita nel nulla, tutto archiviato. Le minacce vere all'ordine democratico arrivano invece del mondo anarchico, sobillato dal terrorista Alfredo Cospito, che una delegazione Pd è andata a trovare in carcere appoggiando la sua richiesta di revoca del 41 bis («Io non sarei andato» ha detto l'ex ministro Pd Marco Minniti), di cui discuteva in carcere con i boss mafiosi. La rivelazione di questa connessione ha fatto scoppiare il caso Donzelli-Delmastro, con richiesta di dimissioni da parte dell'opposizione.

Un altro assalto, non riuscito.

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