Peccato, non funziona più il modello classico per cui attribuiamo la rabbia dei neri d'America all'emarginazione: gli scontri di Baltimora, governata da 40 anni da un comune democratico e in gran parte nero, riportano al vero protagonista subliminale e sottinteso, il presidente Obama. Ma come, certo si tormenta Barack, abbiamo fatto passi avanti tali da avere me come presidente, e ancora la polizia ammazza i ragazzi neri, e loro distruggono e saccheggiano le città?
La madre infuriata dai lunghi capelli con le meches bionde che riempiva il suo ragazzo di schiaffoni per impedirgli di lanciare pietre e dare fuoco alle macchine era virtualmente Obama stesso, medesima generazione nata con le leggi di parità, simbolo del miracolo della democrazia americana. Il Presidente, dopo una serie di scontri micidiali fra polizia e neri in varie città, quando ha commentato la morte di Freddie Gray, il 25enne ucciso da una lesione violenta alla spina dorsale nelle mani della polizia, l'ha detto: «Questi giovani sono criminali e delinquenti».
Per Obama deve essere difficile capire che quei ragazzi invece di pensare «Yes we can», invece di vedere la sua presidenza come un'ancora per un futuro positivo, seguitano a considerarsi vittime razziali, senza altra speranza che quella di spaccare una vetrina e rubarne telefonini e scarpe di marca. Obama ha però parlato poco del perché questo accade. Ha preferito sottolineare come i poliziotti «interagiscano in modo che suscita pesanti domande». E ha ragione: i poliziotti americani sono a volte prepotenti e violenti, tanto che il loro comportamento è spesso oggetto di inchieste giudiziarie.
Ma la grande questione è quella della voglia dei giovani neri di essere una Black Panther, peccato che quelli le leggi di parità le hanno già ottenute; il loro vittimismo poi è subito incendio, vandalismi, furto, lanci di pietre. Una rovina nazionale: il sindaco nero, la signora Stephanie Rawling Blake davanti alle rovine di un centro acquisti nel quartiere dove abitava Freddy Gray quasi piangeva: «Ci avevamo messo tanto a convincere i proprietari a investire in questa struttura».
Baltimora in realtà era la sesta città americana nel 1960, e oggi non appare neppure nelle prime venticinque: il crimine, la poca crescita economica e il disastro della scuola creano un disastro sociale autentico, ma non c'entra nulla l'odio razziale. Si tratta semmai di una guerra perduta: il 72 per cento dei liceali sono al di sotto della sufficienza in matematica, il 45 per cento in letteratura, il 64 nelle scienze. Sono ragazzi nella maggior parte neri, che passano il tempo in giro con bande che parlano slang incomprensibili, si considerano fuori del mercato del lavoro, non disdegnano l'attività criminale.
Sentono loro il giovane nero ucciso, perché è vero: gli Afro-americani sono in America solo il 13 per cento, il numero dei ragazzi neri uccisi è del 90 per cento, ma per la maggior in scontri fra gang di ragazzi neri. Per ogni omicidio commesso da un ragazzo bianco, è triste dire che ce ne sono dai 7 ai 10 fra i neri. Così il loro profiling diventa un motivo di allarme, ma non c'entra il colore: a Baltimora il 63 per cento degli abitanti è nero, ma anche il 40 per cento dei poliziotti. Non c'è in genere una ragione razziale nel comportamento dei poliziotti, ma paura e arroganza.
Il fatto è che anche con Obama presidente questi giovani non riescono a spalancare la porta della conoscenza e della speranza, il vittimismo è il loro peggior nemico.
Una volta Fouad Adjami, il grande storico libanese, scrisse la stessa cosa del mondo arabo, e aggiunse, durante le Primavere Arabe, che sarebbero diventato fallimento e violenza se non lo avessero battuto. Lo stesso si può, si deve dire per il mondo dei neri americani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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