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Il caso Lucano non è così amaro. E la sinistra si scopre garantista

Il garantismo è vivo e lotta insieme a noi

Il caso Lucano non è così amaro. E la sinistra si scopre garantista

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Il caso Lucano non è così amaro. E la sinistra si scopre garantista

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Il garantismo è vivo e lotta insieme a noi. C'è (ancora?) speranza a sinistra se «l'ennesimo caso di malagiustizia» che ha avuto protagonista Mimmo Lucano ha fatto ricredere i peggiori forcaioli: anche uno di loro può «subire una terribile gogna» per colpa di «uno stravolgimento dei fatti dovuto a un uso distorto delle intercettazioni». Dopo la mini condanna a un anno e sei mesi per l'ex sindaco di Riace, colpevole (ma non troppo) di aver gestito un po' allegramente i fondi del Viminale per i suoi progetti di accoglienza, le solite tricoteuses gettano la maschera. Sentire esponenti come Laura Boldrini o Nicola Fratoianni parlare di «abnorme condanna», di un innocente «insultato e infamato dalla più becera propaganda», di Lucano come una vittima di «trame, veleni e strumentalizzazioni alimentate per meschini interessi politici», financo di «un processo mediatico e politico che ha trascinato un innocente in un incubo giudiziario», è un miracolo che sarebbe piaciuto anche a Silvio Berlusconi. Lungi dal pensare che nella sentenza che ha graziato Mimmo u curdu ci sia la solita doppiezza tanto cara a Giovanni Giolitti, secondo cui «per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano», visto come è stato demolito l'impianto della condanna in primo grado. Ma non è un mistero che in Calabria Magistratura democratica con i suoi migliori esponenti si sia data parecchio da fare per salvare il soldato Lucano dalle grinfie della giustizia, in nome di una solidarietà nei confronti degli immigrati che li unisce idealmente ai principi che hanno ispirato a Catania il giudice Iolanda Apostolico, altro magistrato non certo immune ad alcune sensibilità vicine alla sinistra, che lei stessa ha manifestato scendendo incautamente in piazza. Ma la difesa di Lucano ci restituisce la speranza che questa sia la stagione giusta per riconsiderare il peso della giustizia nel dibattito politico, proprio nel momento storico di minima credibilità delle toghe, senza per questo inseguire vendette postume contro una parte della magistratura che si è rivelata ideologica e asservita a una classe politica incapace di vincere (e di governare) senza avvelenare i pozzi. Certo, ci sono i pessimisti come Carlo Calenda, secondo cui quando ci si esibisce sulla giustizia «non esistono valori come il garantismo a cui ispirarsi, ma solo occasioni di marketing politico». A qualcun altro invece la nuova coscienza di classe della sinistra contro l'uso distorto della giustizia sembra genuina.

Cosa vuoi di più dalla vita? Un garantista.

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