
Milano - Comincia a diventare imbarazzante per il ministro degli Interni Matteo Salvini la frequentazione - se non l'amicizia - con Luca Lucci, leader degli ultrà del Milan, liquidata più volte dal vicepremier con battute di alleggerimento. Perché ieri contro Lucci la questura di Milano fa scattare un provvedimento la cui lettura lascia poco spazio a dubbi. Lucci non è solo un violento della Curva. É anche un criminale a tempo pieno, stabilmente inserito nei giri della malavita organizzata milanese, implicato in operazioni di narcotraffico ed in movimenti di capitali inspiegabili. Se c'è un singolo individuo in grado di esemplificare la penetrazione malavitosa nella tifoseria organizzata, è Lucci.
Ieri la questura di Milano chiede e ottiene dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale il sequestro di alcuni beni appartenenti a Lucci o a sua moglie Valeria Bonomelli. Non si tratta di grandi tesori: un appartamento a Scanzorosciate, in provincia di Bergamo, una Audi A5 con sette anni di vita. Più interessante il terzo bene sequestrato: il Clan 1899, un circolo a Sesto San Giovanni che, sotto le mentite spoglie di onlus, è il pub di ritrovo della tifoseria ultrà rossonera, ma anche di personaggi inquietanti. La polizia ci fotografa Loris Grancini, capo ultrà juventino, citato più volte nell'inchiesta sulla penetrazione della ndrangheta nella curvai bianconera. E ci fotografa anche due personaggi che Lucci conosce così da vicino da avere avviato insieme a loro un ristorante, il «Malacarne» di Cologno Monzese: sono Rosario Calabria e Antonio Trimboli, calabresi, che la questura definisce senza mezzi termini «entrambi legati ad importanti famiglie 'ndranghetiste».
Di Luca Lucci il provvedimento di sequestro firmato dal giudice Fabio Roia ricostruisce meticolosamente il curriculum criminale, citando ampiamente l'articolo del Giornale che nel 2007 rese per la prima volta il suo nome noto al grande pubblico. Già allora si parlava di storie crude che coinvolgevano Lucci: come l'omicidio dell'avvocatessa Marianna Spinella, realizzato da un balordo amico del capo ultrà e utilizzando la sua automobile. A insaputa di Lucci, stabilirono le indagini.
La carriera del «Toro», come lo chiamano in curva, prosegue in questo bizzarro milieu dove calcio e droga si incrociano in modo inestricabile. Nell'agosto del 2012 parte una bella crociera in barca a vela, a bordo oltre a Lucci e signora ci sono altri boss della Curva Sud. Lo skipper si chiama Massimo Romaniello. Un mese dopo, lo stesso skipper e la stesa barca vengono fermati in Spagna mentre si preparano a salpare per l'Italia con duecento chili di hashish. «L'ipotesi investigativa che prende corpo dalle intercettazioni», scrive il giudice, è che tra i destinatari del carico ci fosse proprio Lucci.
Non conoscono confini, gli affari del capo ultrà: al Clan 1899 arrivano nel 2012 anche sessanta ultrà del Partizan Belgrado, venuti a Milano per scontrarsi con quelli dell'Inter. I milanisti, scopre la Digos, fornivano ai serbi manodopera per gli scontri, mascherati con le sciarpe del Partizan.
Ufficialmente, Lucci fa l'elettricista, ma nei tre mesi in cui venne pedinato «mai lo hanno visto impegnato in qualsiasi attività lavorativa». Il suo vero lavoro è la Curva, con tutti i benefit connessi. Leciti e illeciti.
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