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I giallorossi vogliono lo scudo per non fare la fine di Salvini

Il presidente del consiglio nel summit di maggioranza ha parlato di centralità di Palazzo Chigi nelle scelte politiche del governo. Ma sembra un tentativo per mettere più in difficoltà l'ex ministro Matteo Salvini

I giallorossi vogliono lo scudo per non fare la fine di Salvini

Chissà se, al termine della sua lunga o breve esperienza politica, Giuseppe Conte potrà ancora dare di sé l’immagine di “avvocato del popolo”, termine che il presidente del consiglio si è auto attribuito quando si è per la prima volta presentato al Quirinale.

Di certo, il capo dell’esecutivo è un buon avvocato di sé stesso se è vero che, come anticipato da IlMessaggero, tra gli obiettivi messi in agenda dopo il summit della maggioranza sull’immigrazione adesso rientri anche quello relativo alla “spoliticizzazione” del Viminale.

All’inizio dell’incontro di lunedì, lo stesso da cui è uscita una densa fumata nera sulla modifica dei decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini, Giuseppe Conte avrebbe tracciato dinnanzi ai delegati dei partiti della coalizione giallorossa la nuova linea circa i rapporti da tenere tra Palazzo Chigi ed i ministeri. Con particolare riguardo a quello dell’interno.

Il presidente del consiglio, in particolare, avrebbe lamentato un’eccessiva presa di poteri dell’ex ministro Matteo Salvini: “Nella prima bozza dei decreti sicurezza era previsto che io non venissi informato nemmeno sulla politica degli sbarchi – ha dichiarato Conte ai membri della maggioranza – Nella seconda che io non fossi parte in causa. Da oggi in poi non sarà così. Ogni decisione sarà in capo a chi guida il governo”.

Parole che il presidente del consiglio ha voluto forse non a caso pronunciare proprio in questi giorni. Il 12 febbraio scorso il Senato ha dato il via libera al processo su Salvini sul caso Gregoretti, il prossimo 26 febbraio invece ci sarà il voto sulla vicenda relativa alla nave Open Arms, sulla quale il tribunale dei ministri di Palermo ha chiesto di poter procedere sempre contro l’ex ministro dell’interno. Si tratta di due casi in cui, in ambito processuale, sarà essenziale per le parti dimostrare il coinvolgimento o meno dell’intero governo nelle scelte politiche operate nei giorni in cui si sono consumate le rispettive vicende, accadute quando ministro dell’interno era Matteo Salvini.

Se il segretario della Lega punta a dimostrare che i suoi divieti di sbarco emessi contro la nave Gregoretti e la Open Arms, oggetto delle indagini del tribunale dei ministri di Catania e Palermo, erano concordati con il governo, Giuseppe Conte sa bene invece che dimostrare il contrario darebbe maggiori grattacapi all’ex ministro.

Il messaggio che si vuol far passare da Palazzo Chigi è che da adesso la presidenza del consiglio deve tornare ad essere centrale nel coordinamento delle scelte politiche. Da adesso per l’appunto perché, secondo Giuseppe Conte, qualche mese fa non è stato così. E dunque, le responsabilità di quanto accaduto nei giorni dei casi Gregoretti ed Open Arms sarebbero solo in campo a Matteo Salvini.

Per il presidente del consiglio lanciare questo segnale potrebbe rappresentare, come detto, un modo per indebolire le strategie difensive del suo ex ministro. Ma allo stesso tempo, da buon avvocato, anche difendere politicamente sé stesso in vista degli stravolgimenti che il suo nuovo governo ha intenzione di dare ai decreti sicurezza di Salvini.

Un modo cioè per non attribuirsi la paternità delle norme istituite dal suo stesso esecutivo in fatto di immigrazione, che a breve un altro governo da lui guidato proverà a smantellare. I decreti sicurezza, nella ricostruzione che Conte vorrebbe far passare, sono frutto della volontà di Salvini, mentre invece adesso la loro eventuale modifica sarà figlia delle direttive della presidenza del consiglio.

Sempre ammesso che la maggioranza faccia quadrato attorno al piano di Luciana Lamorgese, rimasto rilegato sul tavolo del summit aperto da Conte lunedì visto che tra i partiti della coalizione non è arrivato alcun accordo in grado di portare la questione al consiglio dei ministri.

Nel frattempo però, il presidente del consiglio ha voluto mettere le mani avanti: tutto da adesso, guarda caso, deve passare da Palazzo Chigi.

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